Fra l’approvazione del nuovo Piano del Mare e l’aumento delle immatricolazioni di barche, la portualità turistica italiana sta conoscendo una fase di notevole rilancio. Ne abbiamo parlato con Andrea Barbagelata, consigliere di Assomarinas e presidente di Marina Porto Antico a Genova, per fare il punto sulle prospettive future del settore.
L’intervista ad Andrea Barbagelata è la seconda puntata delle nostre conversazioni sul rilancio della nautica da diporto, che abbiamo avviato nei giorni scorsi con l’intervista al presidente di Assomarinas Roberto Perocchio.
Andrea Barbagelata, il nuovo Piano del Mare contiene un importante capitolo sulla nautica. Qual è il suo giudizio?
«Ci fa molto piacere che finalmente il governo abbia preso atto che anche la portualità è un elemento fondamentale per il settore turistico italiano. Si tratta di un concetto su cui come Assomarinas stiamo lavorando da tempo: il porto turistico costituisce una porta di ingresso per i flussi in entrata nella sua località, e dunque consente ai diportisti e ai visitatori che arrivano via mare di accedere a un territorio nel suo complesso. In sostanza, il cliente del marina non solo ha bisogno di acquistare carburante e fare manutenzione alla sua barca, ma frequenta anche i ristoranti, le spiagge, i musei, eccetera. Di conseguenza, la presenza di una struttura portuale in un territorio è un moltiplicatore per l’economia e incentiva lo sviluppo della zona in cui è inserita.
Nel decennio scorso, il comparto della portualità turistica ha attraversato una profonda difficoltà, iniziata con la crisi economica del 2009 e proseguita con la tassa di stazionamento voluta dal governo Monti. Solo col tempo, la politica si è accorta che colpire con un’imposta un bene mobile come la barca, significa solo spingere i proprietari a spostarla in un altro paese. Quella scelta ha rappresentato l’emblema della mancanza di dialogo fra le istituzioni e le rappresentanze del settore nautico. Oggi invece, con il Piano del Mare, il governo ha dimostrato di dare la giusta importanza alla portualità turistica».
Quali sono i passaggi più rilevanti del Piano?
«Un passaggio che ci interessa in modo particolare è quello che riguarda la riqualificazione dei porti esistenti. Spesso si sente dire che in Italia non ci sono abbastanza posti barca e che bisogna realizzarne di nuovi, ma se andiamo a guardare la mappa dei porti turistici esistenti e in fase di costruzione o pianificazione, scopriamo che ciò non è vero. Inoltre la crescita del parco nautico italiano – inteso sia per le imbarcazioni immatricolate nel nostro paese, sia per quelle che arrivano dall’estero – è molto inferiore rispetto ai posti barca già disponibili, e lo stesso vale per il rilascio delle patenti nautiche, sensibilmente più basso rispetto a un decennio fa. Dunque oggi, a nostro parere, parlare di sviluppo della portualità turistica significa lavorare sulla riqualificazione o sul miglioramento delle strutture esistenti, anziché pianificarne di nuove».
Come si può fare nel concreto?
«La maggior parte delle marine private in Italia fa capo a piccole e medie imprese, di cui tanto si parla come spina dorsale dell’economia. Queste pmi, in prevalenza a gestione familiare e con poche decine di dipendenti, hanno bisogno di essere sostenute per poter mantenere i propri livelli qualitativi in un mercato molto concorrenziale come quello odierno. Gli investimenti milionari necessari per costruire un porto turistico sono molto difficili da affrontare, fra infrastrutture, dragaggi e opere di difesa, e nonostante vengano realizzati con denari privati e col supporto finanziario delle banche, vengono incamerati nel demanio dello Stato al termine della concessione. Nel periodo di crisi che ci siamo appena lasciati alle spalle, molte società sono state in difficoltà e per questo, anziché aumentare la concorrenza, sarebbe meglio incentivare a riqualificare le marine esistenti. Per farlo ci sono progetti molto interessanti come “Industria 4.0” o sostegni positivi come quelli a favore dell’energia pulita e delle strutture ecosostenibili, che permettono di ottenere crediti d’imposta a quelle marine che decidono di investire ulteriori denari».
In definitiva, favorire la costruzione di nuovi porti è stato un errore?
«Diciamo che si è trattato di una pratica distorsiva, soprattutto a causa del progetto “Italia Navigando”, su cui Assomarinas più volte in passato ha richiamato l’attenzione come esempio di utilizzo potenzialmente non corretto di fondi pubblici. Quel progetto partiva da una buona idea – ovvero finanziare la realizzazione di nuove strutture per la nautica da diporto in zone depresse, dove c’era la necessità di posti barca ma non c’erano le condizioni per attirare gli investimenti dei privati – eppure col passare degli anni la strada è stata deviata in modo eccessivo, utilizzando cioè capitali pubblici per fare concorrenza a marine private. Nel tempo fortunatamente il modello di “Italia Navigando” è stato abbandonato, ma ne stiamo subendo ancora oggi le conseguenze, con molte strutture fallite che significano anche degrado e mancanza di posti di lavoro. Oltretutto, nel momento in cui un porto turistico non è più indipendente dal punto di vista finanziario e viene gestito da un tribunale, perde di vista il suo scopo gestionale primario e inizia a guardare altri interessi, ovvero soddisfare i creditori. Tutto ciò fa sì che in determinati luoghi, alcune marine abbiano avuto un generale decadimento dei servizi e un abbattimento delle tariffe al di sotto dei costi di gestione, iniziando a lavorare in perdita e facendo una concorrenza sleale ai porti limitrofi. Per questo, pur non essendo contrari a prescindere alla pianificazione di nuovi porti, il suggerimento di Assomarinas è quello di stimolare le imprese nautiche italiane a investire denari privati per migliorare i propri servizi, fare una capillare promozione turistica all’estero per attirare nuovi flussi e sfruttare le risorse pubbliche per incentivare ristrutturazioni e riqualificazioni delle marine esistenti. E mettendo il privato in condizione di poter sostenere il suo investimento, in modo da evitare ripercussioni sull’aumento delle tariffe di ormeggio».