Il vento, aria che soffia intonando canzoni, colorando l’orizzonte, languendo o graffiando il mare.
Che parola ammaliante: vento, ancora di più in greco: Ànemos. Ricorda l’anima ed è proprio a questo che fa riferimento il titolo del libro di Fabio Fiori, edito da Mursia: Ànemos. I venti del mediterraneo.
Un romanzo intimo, che accarezza l’anima, solletica l’orgoglio di chi ama il mare ma anche la cultura, non solo del mare. Uno spiro che attraversa la mitologia, la tradizione, la storia, la scienza. Un vaso di pandora che trasfigura i venti in storie. Emozionante.
Per chi scrive romanzi il vento è un concetto magico, profetico, ieratico, ricorda la vita che passa, ricorda l’attesa, la paura, la consolazione. Ricorda la potenza, la rabbia che annebbia la vista, la passione, l’assenza. E io potrei continuare a scrivere pagine e pagine sul vento ma lascio il timone a Fabio Fiori che magistralmente respira e narra dei “venti del mediterraneo”.
“I venti sono dèi che mi hanno rapito quand’ero bambino […] mi hanno portato là, dove il mare e il cielo si toccano”, inizia così il suo romanzo e inizia così il viaggio che ci porta pagina dopo pagine a scoprire una rosa dei venti antica disegnata dai venti principali: Tramontana, Grecale, Levante, Scirocco, Ostro, Libeccio Ponente e Maestrale, ma anche dai mezzi venti e dai venti locali: Meltemi, Bora, Mistral.
Ed è la torre dei venti ad Atene, imponente edificio ottagonale in marmo bianco, alto quasi tredici metri, posto nell’antica Agorà, che puntuale ed eterna li raffigura in un’aulica antropomorfizzazione.
Un romanzo che gonfia le vele alla Tramontana, il vento del nord legato alla bussola che custodisce una femminilità, forse non solo nel nome, svincolata dall’origine geografica. La sola femmina di sette fratelli maggiori capace di mantenere la via senza appunto perdere “La Tramontana”.
Prosegue soffiando l’odore del Levante “salmastro che, raccoglie nella sua lunga cavalcata adriatica, da Otranto a Venezia. Spira da est, cardine ancestrale di ogni geografia umana.” Scrive Fabio Fiori.
Poi magari il vento gira e allora è lo Scirocco a farla da padrone. Una parola che nasconde lo stretto legame tra il Mediterraneo e l’Africa. Il respiro africano sulle nostre coste, che soffia di mezzo tra Ostro e Levante. Un vento appropriato, per Sciascia e Pirandello, alla fuddìa siciliana. E ancora “un vento che imperversa, caratterizzando i paesaggi e gli animi” per Thomas Mann in Morte a Venezia o ancora un vento che “annoia e invita a lasciare Procida […] la mia isola ocra, che proprio lo Scirocco rende ancora più sulfurea” per Elsa Morante in Isola di Arturo. Dunque un vento che inspira e seduce ottundendo gli animi più sensibili. L’autore ci racconta che lo Scirocco è “un una dimensione della Sicilia”, e io da siciliana, non proprio doc, aggiungo che è una forma mentis della nostra isola.
Lo scirocco che acquisisce linee dure anche nelle immagini, nella storia, come nella descrizione di Alberto Ronchey di Aldo Moro: “Secoli di scirocco nel suo sguardo”. Un vento difficile, dunque, che trasmuta e spezza anche l’anima.
I venti che l’autore ci racconta e ci canta come un antico cantastorie sono tanti, sono tutti, e compongono storie vibranti e aneddoti non sempre conosciuti.
La storia avvincente di Fibonacci, per dirne una, che porta lo zero in Europa latinizzandolo dall’arabo safir, ossia vuoto, in zefphyrum che in italiano diventa zefiro e in seguito, nel Rinascimento, zero. “Numero molto diverso dagli altri, potente e terrificante che divide e moltiplica esattamente come lo Zefiro che quando è a poppa della nave, dimezza lo spazio, mentre a prua lo raddoppia”, precisa l’autore.
Continuerei a scrivere di questo romanzo che ispira come grembo di Gea riflessioni e immagini che soffiano nelle vele dei più grandi autori ma preferisco lasciarvi alle pagine di Ànemos e alla “penna” di Fabio Fiori.
“Aria, pensò, la vita è fatta d’aria, un soffio e via”
Scrive Antonio Tabucchi nel Tempo invecchia in fretta.