L’Atlantico in gommone, Il sogno di Sergio Davì: “Ti senti minuscolo, ma è un’esperienza unica”

Ha attraversato l’Oceano Atlantico in gommone, partendo da Palermo per approdare a Recife. Un viaggio iniziato il 29 aprile per terminare lo scorso 17 giugno, dopo aver percorso circa 4.300 miglia. Sergio Davì racconta l’esperienza con la voce emozionata di chi ha realizzato il sogno di una vita: Ho iniziato a lavorare al progetto nel settembre 2012, dopo essere rientrato da Capo Nord il 7 agosto. L’ho creato come un figlio. Ci ho provato nel 2015, ma ho subito un incendio prima ancora di arrivare a Lanzarote e iniziare la traversata. Per me è stata un’esperienza unica, l’oceano è sempre particolare. Di certo il mare non ci ha accompagnato, è sempre stato abbastanza “incazzato”, è sempre stato un lottargli contro. È vero anche che eravamo suoi ospiti, non ci possiamo lamentare. A fare una traversata atlantica con un gommone ti senti davvero minuscolo, una noce nell’oceano. Questa è la sensazione”.

Sergio Davì con la coppia di Suzuki DF 200 AP

Per Sergio Davì non è la prima impresa del genere. Nel 2010 aveva viaggiato in gommone da Palermo ad Amsterdam, due anni dopo fino al Circolo Polare Artico. Ma qual è stata la più emozionante?

“Palermo-Amsterdam è stata la prima, quindi molto emozionante. Il gommone era più grosso, circa 11 metri. Nella Palermo-Circolo Polare Artico invece era in un gommone di 8 metri. I mari del nord non sono facili, sono tremendi. Però la meraviglia della Norvegia è unica, è stata una sensazione unica. I miei occhi hanno visto cose che difficilmente si possono vedere. Ti senti coccolato dalla natura, piccolo ma confortato dalla vicinanza alla costa. I paesaggi sono fantastici. Certo, lì hai la possibilità di viaggiare vicino alla terraferma, è diverso”.

Cosa era successo nel tentativo del 2015?

C’è stato un incendio nel vano motori che lo ha bruciato completamente. Eravamo a Lanzarote, non è stato facile. Evidentemente non era il momento. Avevo abbandonato l’idea dei motori fuori bordo per la benzina, per i vapori. Poi mi sono convinto perché le nuove tecnologie danno maggiori garanzie. Abbiamo tenuto la benzina gestita in un determinato serbatoio canna SB, non abbiamo sofferto di puzze e non ci sono stati problemi. Avevamo bidoni aggiuntivi esterni, che poi abbiamo regalato. Questi motivi mi hanno spinto a prendere motori fuori bordo. Riuscire a fare la traversata in questo modo ha rivalutato ciò che la gente non percepisce come adatto a lunghe tratte. Ho usato i due Suzuki da 200 cavalli per 140 ore di moto continuo e non mi hanno creato problemi. Sono rimasto sbalordito. Sapevo che erano eccezionali, anche carena e gommone, ma i risultati sono stati ancora migliori. Non è questione di sponsorizzazione, è un fatto reale. Sono molto contento della mia scelta”.

Nonostante i nuovi accorgimenti tecnici, qualche piccolo problema c’è stato. Stavolta però soltanto in oceano:

“La struttura in legno che teneva i serbatoi aggiuntivi in poppa ha creato qualche problema, i tubi sono rimasti un po’ incastrati e si sono gonfiati con l’acqua. Ho avuto problemi in oceano, poi non passava più benzina. I motori non andavano, ho dovuto smontare tutto. Avevo intuito che era un problema di tubi e sono riuscito a intervenire. Ho chiamato Alessio e abbiamo risolto, per fortuna. Quello è stato il momento più difficile, pensi a tutti gli scenari”.

L’Alessio in questione è stato il suo compagno d’avventura, Alessio Bellavista. Ma non c’è mai stato un accenno di diverbio in un’impresa così impegnativa?

Ho scelto Alessio e devo essere sincero, non abbiamo mai avuto problemi. Ci conosciamo, rispetta le mansioni del comandante, è stato un aiuto fondamentale. Sono molto contento di lui, una scelta che rifarei a occhi chiusi. È stato veramente presente, mi ha aiutato molto. Anche quando avevo bisogno di riposare gli occhi. Non ho mai dormito davvero nel corso della traversata, ma se mi serviva riposare gli occhi per mezz’oretta sapevo di potermi fidare ciecamente”.

Di certo il lato umano è rilevante in un’impresa del genere. Come riconosceva già in un’intervista precedente, lo stress è la sfida più complicata, e la stanchezza può portare a fare sciocchezze nella parte finale della traversata. Tutti ostacoli superati con brillantezza:

“Confermo, lo stress fisico ma soprattutto psicologo. Se la mente non accompagna il corpo, il corpo non ti segue. Puoi essere allenato quanto vuoi, se non ti segue la mente il corpo cede. Mai commettere l’errore di un calo di attenzione prima di arrivare, sarebbe grave. Lo stress psicologico è il più grande nemico, i cambiamenti d’umore sono abituali. Essere in due in uno spazio minuscolo è difficile, con i serbatoi e i bidoni lo spazio si è ridotto di molto. È importante saper gestire queste cose. Dal punto di vista fisico è molto impegnativo, ero un pochino preoccupato. Però l’università di Palermo, che mi ha seguito, mi ha detto che al ritorno stavo meglio di quando sono partito (ride, ndr). L’esperienza ti insegna tanto, non puoi permetterti di lasciarti prendere alla sprovvista dalla stanchezza. Se sei stanco cedi il compito al tuo compagno, provi a tenere collegati mente e corpo fino alla fine. Noi ci siamo divisi bene i compiti, come detto non ci sono mai stati problemi. Certo ci vuole anche la buona sorte, quando tutta gira bene è più facile. Puoi anche essere preparatissimo, ma se ti gira tutto contro…“.

Alla fine dell’impresa però è arrivata un’altra grande soddisfazione. Il suo gesto non è passato inosservato alla popolazione brasiliana, che gli ha riservato un’accoglienza da star:

“Siamo stati accolti da un sacco di giornalisti, c’era anche TV Globe. Siamo davvero soddisfatti. La gente era impazzita, non riuscivano a credere che fossimo venuti dall’Italia. Siamo stati accolti davvero bene. Non posso che esserne molto contento”.

Dopo aver realizzato il suo sogno, è possibile che diventi un esempio per qualcun altro. Gli chiediamo allora qualche consiglio per chi volesse emulare le sue gesta:

Programmare tutto, non lasciare nulla al caso. Ho potuto fare qualcosa del genere perché avevo un’esperienza alle spalle. Non si può fare all’improvviso, è come mettere in mano a un automobilista inesperto una Ferrari per puntare al podio. Anche per il conteggio del carburante da portare, non puoi permetterti di sbagliare i conti. Se lo fai ti ritrovi in mezzo all’oceano. E ho anche consumato meno del previsto. Ero convinto di fare un rabbocco a Fernando, l’ho fatto solo a Natal. Meglio di così non poteva andare, da questo punto di vista”.

Nel finale dell’intervista torna ad affiorare l’emozione:

Questo era il mio sogno personale dell’oceano. L’ho potuto realizzare dopo moltissime difficoltà, non è stato facile partire da zero. Dopo l’incendio del 2015 avevo pensato di mollare, anche per motivi economici. Sono riuscito a crederci, è stato molto importante, mi faccio i complimenti da solo. All’inizio era previsto che la marina brasiliana ci portasse un rabbocco di benzina, siamo anche riusciti senza. 3470 litri sono bastati, fino alla fine. I motori consumano poco, la carena era particolare e ha limitato l’utilizzo di benzina. Questo aggiunge ancora più valore a ciò che abbiamo fatto”.

In ultima battuta gli chiediamo di riassumerci le sue emozioni in un’immagine:

“L’immagine che mi rimarrà nel cuore è quando ho visto l’isola brasiliana di Fernando de Noronha, la prima terraferma dopo giorni. Sono arrivato lì all’alba, me la sono vista davanti con il sorgere del sole. È stata un’emozione unica, meravigliosa, indescrivibile”.

Davide Terraneo

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