di Sara Teghini
Da sabato 28 novembre una dozzina di container lunghi circa 12 metri sono alla deriva in direzione nord-est al largo di Boulogne-sur-Mer, proprio sul canale della Manica. Un pericolo davvero grande in una zona di mare così trafficata, i container sono stati persi in mare da una nave merci e le operazioni di recupero sono rese difficoltose dalle condizioni meteo.
I container sono stati individuati a seguito della segnalazione della nave da un elicottero della Marina francese, che ha posizionato un GPS su uno dei dodici bestioni alla deriva per seguirne la traiettoria finchè non sarà possibile recuperarli. Nel corso della giornata di ieri tre container si sono spiaggiati presso il faro di Walde, vicino a Calais, altri quattro sono arrivati in acque belghe, mentre degli altri otto si sono perse le tracce. Le forze marittime e terrestri sono in allerta: avvisi continui vengono emessi e tutte le informazioni su eventuali avvistamenti raccolte dalle navi di passaggio, mentre un rimorchiatore e un elicottero della marina francese sono in allerta.
I container, oltre a rappresentare una forma di inquinamento devastante, sono il vero incubo di chi naviga. Possono volerci mesi prima che l’acqua penetri nei box e li faccia affondare, e i container galleggiano a pelo d’acqua, praticamente invisibili nelle onde oceaniche se non a distanza ravvicinata. I dati sul numero di container persi in mare ogni anno sono discordanti tra loro, e non di poco: dal clamoroso dato di 10.000 citato dal National Geographic e dal NOAA qualche anno fa, ai circa 2.000/2.500 su cui convergono la gran parte delle stime delle principali case assicuratrici, fino al minimo di circa 600 stimato dal World Shipping Council.
Il problema è destinato a crescere, sia per l’espandersi dei volumi di traffico che per il significativo aumento della stazza delle navi adibite al trasporto: se attualmente una nave cargo trasporta in media 5.000 TEU (Twenty-foot Equivalent Units), si stima che l’espansione del canale di Panama porterà la media a 12.000 TEU. Già oggi nello Stretto di Malacca le navi cargo hanno una capacità di 18.000 TEU. Anche attenendosi alle percentuali di perdita in mare più basse, i totali fanno venire i brividi.
Ma aldilà dei numeri, per quanto inquietanti, quello che sarebbe molto più interessante sapere è, ovviamente, dove si trovano questi container. Sappiamo che il fenomeno delle cadute in mare, che si verifica di solito durante burrasche e mareggiate, interessa tutti i mari del mondo (incluso il Mediterraneo), ma dove finiscono i container alla deriva? Da anni in molti propongono di dotare i box di emettitori di segnali che permettano di localizzarli o perlomeno di segnali luminosi per vederli da lontano – il che, anche se non eviterebbe l’inquinamento, aiuterebbe a risolvere il problema della sicurezza dei naviganti.
In attesa che ciò avvenga, torna alla mente l’unico tentativo di capire come si distribuiscono i container persi in mare (o meglio il loro contenuto) in base alle correnti prevalenti. La storia risale agli anni ’90, e ha per protagoniste le famose paperelle di gomma, le Friendly Floatees. Nel gennaio 1992 numerosi container contenenti i giocattoli galleggianti (non solo papere, ma anche tartarughe, castori e rane) caddero in mare durante il trasporto da Hong Kong agli Stati Uniti: il carico si disperse in mare, e circa 28.000 animaletti di gomma colorati cominciarono a galleggiare nel Pacifico del nord. Due oceanografi, Curtis Ebbesmeyer e James Ingraham, si interessarono alle rotte delle paperelle per capire le correnti oceaniche, riuscendo a tracciarne una mappa e a sviluppare un modello di previsione dei più probabili punti di atterraggio degli animaletti di gomma.
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