Forse cerco una barca in vendita

Che mi scusi, si può vedere questa barca in vendita?”. Sia a Genova che in qualsiasi altro boat show l’approccio è identico. Ho volutamente annotato molte di queste situazioni per aggiornarmi sul rapporto che oggi esiste tra gli utenti, gli operatori, i curiosi o i semplici spettatori della nautica da diporto.

Oltre a coloro che posseggono o sono orientati a possedere una barca esistevano una moltitudine di “curiosi” e di “spettatori” del diporto nautico. Le due categorie non sono sinonime in quanto i “curiosi” si mimetizzavano spesso da potenziali acquirenti, che si fingevano interessati, mentre gli “spettatori” non si arrischiavano ad approcciare chi vendeva ma si limitavano a giraci attorno, a sbirciare l’oggetto dal di fuori, senza mai sporgersi al punto da palesare l’intenzione di salirci; si sentivano appagati di vederle e al massimo si concedevano di commentarne la bellezza delle forme o l’esosità del prezzo; al limite, se incrociavano casualmente lo sguardo di chi le esponeva, osavano chiedere c’è un depliant. Erano i più accaniti raccoglitori di “carta“, gli ultimi superstiti prima dell’onda travolgente di internet.

Gli altri, cioè i “curiosi”, erano e sono più estroversi e coraggiosi: vogliono entrare, vogliono aprire, vogliono sapere tutto, vogliono sembrare interessati, vogliono impegnare l’interlocutore quasi al punto da sembrare pronti a compiere i passi necessari per possederla, salvo poi, messi alle strette dall’abile domanda del venditorema lei possiede già una barca?“, ritrovarsi a balbettare un timido “no, però … è da tempo che ci penso” e quindi a difendersi con “sa … forse, comunque io una volta andavo in barca, ma questa, proprio questa … quanto costa?”.

Oggi e ancor più domani la vita del venditore è diventata sempre più difficile, poiché l’operatore incomincia a temere chi dimostra di avere le idee chiare sul cantiere e il modello desiderato. Questo è certamente il cliente più potenziale di chiunque altro, ma è rischioso per il confronto che lui si appresta a compiere con chi deve vendergliela.

Da mesi ha già “navigato“ e ha esplorato tutti i siti, è entrato nei blog in cui si scrive, si dialoga e si illustra il modello della barca che lui, ora finalmente al boat show, si appresta a verificare. Non c’è dubbio, lui conosce quel modello meglio di chiunque altro ed è pronto a sottoporre il venditore a una perfida INVALSI orale. Chi vende dieci o più modelli di uno stesso cantiere la sa lunga su ogni tipologia, ma il perfido esaminatore non gli da tregua e, pezzo per pezzo, confronta la sua scienza con la sapienza del venditore. Nell’acquisto di una barca se dovesse crollare la fiducia nel venditore naufragherebbe anche la vendita!

Ho spesso cercato di fotografare nella mia memoria queste scenette ricorrenti nei “boat show”, e posso testimoniare che anno dopo anno, si sono diradati sia i puri curiosi sia gli spettatori, ma sono sopravanzati gli esperti. Internet docet.

I miei coetanei ovviamente rimpiangono i tempi antichi quando, sulle banchine e lungo i moli, si spettegolava e si ascoltavano teorie, commenti e ipotesi personalizzate, che non erano copiate da wikipedia o tratte dai blog. Tuttavia c’erano allora, come ci sono tutt’oggi, gli armatori suddivisi in un due distinte categorie: quelli che si accontentano d’avere la barca e altri, un po’ meno numerosi, che invece navigavano.

Le alternanze tra provvedimenti sbagliati e qualche riforma talvolta azzeccata con gli scenari economici sempre incerti hanno fatto sì che il mercato nautico continui ad essere ondulatorio, altalenante da momenti di ottimistica euforia a depressioni fallimentari.

Avevano tutti applaudito le riforme legislative che avevano reso più leggero lo scenario burocratico e finalmente s’era scoperto che chi andava per mare era emancipato e gestiva la responsabilità delle proprie scelte.

Chi vuol spingersi lontano dalla costa deve adeguare l’attrezzatura alla navigazione che intende compiere; chi invece si accontenta di fare il bagno, fuori dal trambusto della spiaggia, non deve inventariare a bordo lo stesso equipaggiamento che è necessario per attraversare l’Atlantico. Solo pochi giorni fa s’era sentita la proposta di allungare il limite dei natanti portandoli dai 10 ai 12 metri, quindi abolendo l’obbligo della patente, delle immatricolazioni, eccetera.

Se così fosse diventerebbe ancor più semplice cimentarsi sull’elemento liquido e, a piccoli passi, s’inizierebbe a esplorare non solo la propria costa, ma spingendosi sempre più in là con la propria barca, si esplorerebbero rotte più impegnative, lo scafo allora potrebbe apparire troppo piccolo e si frequenterebbero le mostre nautiche per cogliere “occasioni” più grandi.

Un occhio alla lunghezza delle barche e uno occhio al budget. Qual’è il giusto compromesso?

Ricordo che un giorno mentre stavo facendo carena, da solo, alla mia barca ed esattamente stavo grattando la vecchia antivegetativa prima di poter stendere quella nuova, mi si è avvicinato un vecchio marinaio che, vedendomi affaticato, pensò bene di trasmettermi il suo pensiero e mi disse: “quando è in acqua si vorrebbe fosse più lunga; all’asciutto, se si decide di far da soli, sarebbe meglio averla molto più corta“.

Buon vento.

Gennaro Coretti


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  • Gent. Sig. Coretti, leggo sempre volentieri suoi interessanti articoli. Oggi vorrei segnalare che la sua affermazione "quindi abolendo l’obbligo della patente", associata alla lunghezza dell'unità, non è corretta. L'obbligo della patente nautica non è legato alla lunghezza dei natanti e delle imbarcazioni.
    Claudio.

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