Boat people. Quando salvare vite umane era ancora considerato un onore.

Boat People

30 Luglio 1979.

La Vittorio Veneto intercetta un’imbarcazione nel Mar Cinese del nord. Un elicottero si alza in volo per controllare: tra le onde un peschereccio di circa centocinquanta metri sta andando alla deriva. L’elicottero si avvicina, avvista, a bordo, un centinaio di corpi allo stremo. Sono vietnamiti, più di cento tra uomini, donne e bambini.

È l’ultima ondata di profughi fuggiti dal Vietnam a seguito della caduta di Saigon e dell’instaurarsi del regime comunista di Hanoi. Contadini, insegnanti, impiegati. Uomini. Respinti dagli stati confinanti che tentano la sorte aggrappati ad imbarcazioni fradice, sbalzati dalle onde e in balia di burrasche e pirati. Alle ore 14 vengono tratti in salvo e condotti a bordo. Si uniranno agli altri ottocento profughi vietnamiti sottratti alla furia del mare dalla Marina Militare Italiana. Passeranno alla storia come i Boat People

La missione ha inizio il 27 Giugno dello stesso anno quando nel tardo pomeriggio giunge un cablo urgente all’incrociatore Vittorio Veneto di stanza a Tolone e al cacciatorpediniere Andrea Doria di stanza a Barcellona. Devono raggiungere la nave d’appoggio Stromboli a Taranto e il 4 Luglio fare rotta verso il sud est asiatico a largo del Vietnam. L’ordine è salvare vite umane.
La decisione della Missione Vietnam viene presa dal presidente Sandro Pertini che affida l’incarico al governo presieduto da Giulio Andreotti. La guida “politica” dell’operazione è affidata al ministro della difesa Attilio Ruffini.
Le navi, dopo aver realizzato importanti modifiche strutturali nei locali interni per sistemare novecento sessanta brande e numerosi locali igienici, e dopo aver ridotto l’equipaggio per far posto ai profughi, giungono a Creta, superano il Canale di Suez, sostano a Singapore e arrivano nella zona della missione, il Golfo del Siam, il 26 Luglio. Hanno percorso più di 8000 miglia.

La prima segnalazione di un’imbarcazione alla deriva carica di Boat People è del primo agosto, arriva dalla piattaforma petrolifera Esso. La vittorio Veneto individua l’imbarcazione e cala una scialuppa con a bordo un paio di marinai e un sacerdote vietnamita che stringe fra le mani un megafono: “Le navi a voi vicine sono della Marina Militare Italiana e sono venute per aiutarvi. Se volete potete imbarcarvi sulle navi come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione le navi vi porteranno in Italia, non possono condurvi in altre nazioni. Se non volete imbarcarvi potete ricevere subito acqua, cibo e cure mediche (…)”
Iniziano le manovre di salvataggio. I corpi dei vietnamiti, dei quali rimangono solo grandi occhi disperati, vengono tratti in salvo dai marinai e portati a bordo.

La Vittorio Veneto, l’Andrea Doria e la Stromboli, dopo avere percorso più di 2600 miglia di perlustrazione dell’area, salveranno 907 boat people tra cui 127 bambini e 15 neonati.
Le tre navi faranno ritorno in Italia, dopo una sosta a Singapore, soltanto il 21 Agosto, dopo diciotto giorni di navigazione continua. Sulla Riva degli Schiavoni il ministro Ruffini, il ministro Zamberletti e l’intera città di Venezia accolgono, applaudendo, la marina militare e i vietnamiti a bordo.
Un applauso alla solidarietà, all’accoglienza, all’orgoglio di essere italiani, al coraggio di farsi carico dei più deboli. Un applauso che rappresenterà un esempio unico nella storia. Un applauso che purtroppo oggi suona stonato.
Una lettera, scritta da un gruppo di quei vietnamiti, ringrazia l’Italia così: “[…] Voi italiani avete un cuore buono, eravamo morti e per la vostra bontà siamo tornati a vivere, siete diversi dagli altri popoli, per voi esiste un prossimo che soffre e per questa causa vi siete sacrificati […]”.
Ma era il 1979…

Sibilla Gambino

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