Alle quattro del pomeriggio fa già buio, ma mancano ancora otto ore allo scoccare della mezzanotte e quindi alla fine dell’anno.
I negozi sono ancora aperti e molti stanno terminando gli ultimi acquisti per il cenone di San Silvestro.
Bisogna però fare particolare attenzione a come si organizza il menù, perché a bordo non ci sono molte pentole e il buon cuoco-skipper usa soprattutto la mitica “atomica”, come viene volgarmente chiamata la pentola a pressione.
Il dubbio amletico consiste sull’ora in cui si dovranno mollare gli ormeggi per essere nella giusta posizione per il brindisi di Capodanno in mare.
C’è ancora molto tempo e si può architettare la “lista cibaria”: antipasto misto, del tipo “giardinetto” accompagnato dal pane caldo riscaldato nel forno, che nelle barche sprovviste di riscaldamento, se lasciato aperto sostituisce la stufa.
Forno, maglioni, “vinazza” e tanto calore umano possono essere insufficienti e quindi sarà propizio un caldo minestrone, che diventa un potente carburante se viene arricchito da cotiche e peperoncino. Metà della cena è fatta, infatti a seguire non possono mancare lo zampone e una tonnellata di lenticchie che, simboleggiando tante piccole monetine, propiziano l’anno che arriverà.
Nella dinette s’incomincia a percepire un sufficiente tepore, mentre le cabine di prua e di poppa, opportunamente chiuse, svolgono egregiamente la funzione di conservare freschi i formaggi e la frutta. Per lo “champagne indigeno“, cioè quello di Valdobbiadene, il pozzetto è il luogo ideale dove conservarlo in attesa del momento fatidico in cui si faranno saltare i tappi.
Quando è ora di salpare bastano solo due validi marinai in coperta per effettuare le manovre di distacco dal pontile, mentre tutti gli altri continuino pure a gozzovigliare sottocoperta, purché stiano ben attenti a tener chiuso il tambuccio e a conservare quel poco di caldo che faticosamente è stato creato.
Il frastuono del motore giunge in coperta accompagnato dai dialoghi dei commensali rimasti al calduccio, mentre a chi è toccato il compito di stare al timone cerca di compensare il fastidio del freddo con lo spettacolo notturno della città tutta illuminata, in cui s’intravedono anche gli addobbi natalizi.
Non occorre spingersi molto lontano, una piccola smotorata di appena dieci minuti è sufficiente per superare di poco la boa foranea e saremo a circa un miglio dalla costa. Non serve stare a filare l’ancora, sono passate le undici e fra poco tutto l’equipaggio salirà in coperta e saranno gli occhi di tutti che controlleranno se lo scarroccio di marea ci porta al largo o se rischiamo d’andare in terra.
“Spegnete quel casino di motore”, urlano e sbraitano coralmente i gentilissimi ospiti, e vengono perdonati per i loro schiamazzi quando, nel rinnovato silenzio, la barca si trova sospesa nel buio, nella bruma, nella guazza della notte che penetra nelle ossa e alimenterà, prima o dopo, le parcelle dei reumatologi.
“Accendete la radio!” grida uno a cui replica un altro “No il VHF”, si crea un attimo d’incertezza su il forse uno o anche entrambi gli strumenti, ma io intendo la radio, cioè l’unica radio per questo evento: la RAI, che fra poco inizia il conto alla rovescia. Meno dieci … minuti. In lontananza verso la città, qualcuno, il solito fessacchiotto, esuberante e protagonista ad ogni costo, s’è fatto scappare un fuoco. Meno tre, due, uno … evviva!
Saltano i tappi e si brinda, mentre tutto il golfo sembra un campo di battaglia. La leggera foschia impedisce di distinguere i contorni più lontani degli edifici, ma non ha nessuna importanza poiché la costa è tutto un lancio di fuochi che riverberano anche sul tratto di mare tra la nostra barca e la terra.
Pioviggina appena appena, fa un freddo boia, ma è bellissimo ugualmente. Senza farmi notare da nessuno dei presenti, dopo aver brindato con ciascuno di loro, verso volutamente un po’ del prezioso liquido su di Lei, poichè anche la mia barca, fedele compagna di tante avventure, deve festeggiare l’anno nuovo. E’ un rito propiziatorio per un miglior anno nuovo e per avere sempre …
Buon Vento.