Capraia sogno bagnato di profumo Mediterraneo

Barra a dritta, il Daydreamer guarda ormai non lontano la terra, il porto di Capraia. Un falco Pellegrino pare segnare la traiettoria delle correnti ascensionali che s’imbattono sullo sperone in cui si protegge l’approdo, dominato in alto dal Forte San Giorgio. L’insenatura, quella del porto, è invitante e per come delimita il mare sembra una scarpetta da danza su cui continuare l’andatura di questo corpo d’acqua che il Daydreamer rappresenta per noi. Capraia o meglio “Capraghja” si pronuncia qui in dialetto capraiese con quelle vocali acute e spinte, a rammentare che il mare la separa da altre coste per soltanto ventuno miglia nel Canale di Corsica. E anche i suoi pescatori portano con sé sulle labbra quella originale lingua antica, perché Capraia fu parte del regno di Sardegna con i Savoia al comando nell’Ottocento, passata di mano dopo l’occupazione inglese del 1814; quegli stessi lupi di mare anglosassoni che sembra battessero bandiera Genovese per gentile concessione della Repubblica marinara. E Capraia anche perché, non banalmente, erano qui gli ovini selvatici in coabitazione con la foca monaca purtroppo andata estinguendosi. Forte San Giorgio, castello cinquecentesco, fu invece dei Genovesi che vollero Capraia ligure per un lasso di tempo, e nella fortezza si adoperarono per la resilienza tramite la ricostruzione che poneva fine alla distruzione imperiosa operata dal corsaro Dragut. 

Capraia isola del mare

Capraia: storia e natura perché la sua terra si accumula sull’abisso nei secoli dalle ceneri di un vulcano che la scolpisce adagiata come una tartaruga rocciosa del Mediterraneo. La lava scorreva dal cono principale che si vede ancora quando l’imbarcazione lambisce la costa vicino a cala Rossa. È così: la potenza del vulcano vuole che la si ammiri soltanto con religioso rispetto lasciando illibato questo angolo di paradiso. Efesto la controlla ed è certo che predilige i naviganti ai viandanti, perché le scogliere sono a picco sul mare, alte rocciose, prive di sabbia ad addolcirne il profilo. Capraia è per navigare, farne il periplo mentre si parla di filosofia e retorica. Capraia è per frugare i suoi segreti, avvicinandosi a pelo d’acqua silenziosi fra le grotte, le insenature, guardando le guglie pietrose in cui si legge la geologia che la conforma. Sulle scogliere c’è ancora il rosso che sfuma contrastato nel nero scuro: è la lava quando stenta a completare la sua mutazione nella terra vergine che volle aumentare la superficie di quest’isola, il cui perimetro di trenta chilometri dista davvero lontano dallo Stivale. Capraia infatti è quella più a largo dell’Arcipelago toscano e a Settentrione è la capofila di una serie di gioielli snocciolati sul mare da dio in persona: l’Elba, Pianosa, Montecristo, il Giglio. Fra cale e calette, calanche, insenature, ci sono decine di possibilità per guardare Capraia attraverso le sue tante sfaccettature, che la espongono al mare su cui punta impettita dalle diverse coordinate che la segnano sulla rosa dei venti: Scòpoli, Barbice, Patello, Cote, e ancora. Per appoggiare la vista ed orientarsi nell’arcipelago, la fucina di Efesto ha lasciato cadere qualche lacrima di lava su vari isolotti: Formiche, Manza, Peraiola; e guardate gli scogli della Capra, Gatto, Menaglia, Mosé, Reciso e Scoglione. 

Rada oppure porto

Marina di Capraia, gestita dal 2003 da So.Pro.Tur, oltre un ampio bouquet di servizi che includono acqua e luce su tutte le banchine e la presa per ricettori satellitari sulle banchine per le imbarcazioni di grandi dimensioni, permette di ormeggiare sullo specchio d’acqua del campo boe allestito nella rada del porto che ospita almeno 40 imbarcazioni fino ai 20 metri di lunghezza, nel periodo che va da maggio a settembre. Il campo boe è dislocato proprio nell’imboccatura del porto e, fanno sapere in Marina, garantisce «stabilità e sicurezza anche nelle giornate di vento». È un servizio in più, utile soprattutto nei periodi di alta stagione, luglio e agosto, quando ormeggiare a Capraia può diventare difficile. Inoltre l’ormeggio è libero nella baia antistante l’imboccatura del porto che di per sé può allocare a sua volta oltre trecento imbarcazioni. Le tariffe in questo periodo di alta vanno giornalmente dai 15 ai 240 euro per le imbarcazioni fino ai venti metri, mentre il campo boe oscilla dai 25 ai 150 euro fino ai 23 metri. Chi opta per questa sistemazione deve prevedere che al campo boe non si ormeggia per prenotazione ma è necessario comunicare telefonicamente con il porto entro le ore 14 per annunciarsi. Il canale VHF è invece il numero 69. Una valida alternativa è costituita da Cala del Ceppo, rada ideale per un ancoraggio diverso nell’isola che fu dei corsari. Qui il fondale è profondo al massimo sei metri e almeno due metri, sabbia e Posidonia lo costituiscono con l’aqua che traspare per bellezza e colore netto. Siamo inoltre nel lato più selvaggio dell’isola, attenzione però perché se si alza il libeccio la situazione può farsi spiacevole e l’ancora spedarsi, meglio perciò dare più cima quando si ancora, la trasparenza dell’acqua è totale e permette di localizzarla bene.

Tutela e protezione nel parco marino

È il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano che tutela l’isola per la gioia dei naviganti. Virando poi sul versante occidentale di Capraia sulle falesie che cedono alla gravità scolpite come un panettone, si nasconde il fossile vivente della palma nana. Ricca e variegata è la flora di Capraia i cui profumi invaghiscono al pari di un balsamo che sfuma sui venti del Mediterraneo. I fondali vanno ammirati in apnea, o per i più temerari con le bombole, perché il paradiso sommerso dell’isola non manca di vita marina soprattutto negli specchi più bassi vicino alle coste. Creature speciali sono protette da quell’acqua che combina un elemento vivo insieme con le stelle marine, gli enormi ricci, le ricciole, le cernie, mormore e orate. Una lettura da scoprire a bordo in dinette: “Capraia sott’acqua”, di Marco Lambertini, magari sorseggiando il vino della Piana, l’unica zona pianeggiante dell’isola. E poi si solca l’acqua con le falcate pesanti del Daydreamer fino a Cala di San Francesco in cerca di un’ispirazione mistica che il vicino convento di San Antonio evoca con forza. Ancora bagni, il sole, la salsedine che tira sulla pelle e i piedi ritrovano la durezza dell’attrito terrestre, ma lo sguardo continua a gioire sul bel paesino che invita a un continuum fino al faro, per poi insistere a nuoto in un corpo sempre più ibrido munito di pinne e boccaglio, sbracciando ordinati su Punta Fanale o addirittura fin sotto il Castello a guardare la Torretta del Bagno, raggiungibile a piedi tramite un sentiero irto quando lo Scirocco non la infastidisce troppo. Sassi come ossa del mare contornano Cala dello Zurletto che si fa sorvegliare da uno scoglio a torre, sotto guizza vivace una moltitudine di pesci e l’acqua è cristallina, non c’è nient’altro a disturbare questa pace zen. Ancora vele attorno all’isola sul Nord più ombroso, ecco punta della Teglia e il verso della colonia dei suoi gabbiani reali che discutono in consiglio in cima a una scalinata di rocce. L’elemento liquido si fa turchese simile a un miraggio purificante contornato dai colori porpora della roccia che lo protegge. E la notte giunge: noi, e gli altri, assopiti in rada fra le lanterne degli yacht a farci cullare, guardando Efesto allontanarsi a Sud sulla sua originaria isola di Vulcano.

Andrea G. Cammarata

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