Stop alle proroghe automatiche sulle concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo, comprese quelle dei porti turistici. Lo ha ribadito il Consiglio di Stato con una sentenza depositata lo scorso venerdì 30 aprile, la numero 3940/2024 della settima sezione, che invita le amministrazioni comunali e le autorità portuali a «dare immediatamente corso alla procedura di gara per assegnare la concessione in un contesto realmente concorrenziale».
Per la verità, la pronuncia del massimo organo di giustizia amministrativa non rappresenta nessuna novità: il Consiglio di Stato, infatti, si era già espresso contro le proroghe sulle concessioni demaniali in altre svariate sentenze, a partire dalle due “gemelle” emesse dall’adunanza plenaria il 9 novembre 2021. Tuttavia, il governo Meloni con il “decreto milleproroghe” di febbraio 2023 ha spostato di un anno la scadenza delle concessioni, inizialmente prevista per il 31 dicembre 2023: per questo Palazzo Spada è intervenuto di nuovo sul tema, con una pronuncia particolarmente dura nei toni che ha contribuito a riaccendere i riflettori mediatici e politici sull’annosa vicenda delle concessioni demaniali marittime.
Il contenzioso da cui ha avuto origine la sentenza dell’altro ieri riguarda la concessione di uno stabilimento balneare, ma il tema tocca da vicino anche i porti turistici italiani, seppure si tratti di strutture e di imprese molto diverse in termini di dimensioni e di investimenti realizzati. Vale dunque la pena fare il punto sulla vicenda.
La situazione normativa sulle concessioni demaniali
Prima di analizzare i possibili scenari per i titolari di porti turistici, occorre fare un breve riepilogo della situazione normativa attuale. Tutto è partito dalla direttiva europea Bolkestein del 2006, che impone che i beni pubblici come le spiagge e i porti vengano periodicamente assegnati attraverso delle procedure selettive. Dopo anni di proroghe automatiche agli stessi concessionari, a luglio 2022 il governo Draghi ha approvato la “legge sulla concorrenza 2021”, che ha fissato la scadenza dei titoli il 31 dicembre 2023 e imposto di riassegnarli tramite gare pubbliche. Il governo Meloni, come detto, ha rinviato di un anno il termine delle concessioni, ma questa decisione è stata giudicata illegittima dal Consiglio di Stato: anche le proroghe generalizzate, infatti, rappresentano delle forme di rinnovo automatico agli stessi titolari e pertanto sono in contrasto con il diritto europeo.
Porti turistici esclusi dalla Bolkestein?
Da anni le associazioni che rappresentano i titolari dei porti turistici si battono contro le gare delle concessioni demaniali marittime. In particolare, Confindustria Nautica si è opposta sin dall’inizio all’inserimento di queste strutture all’interno della “legge sulla concorrenza 2021”: secondo il presidente Saverio Cecchi, «la norma di Draghi ha erroneamente incluso anche le strutture della nautica da diporto nell’ambito della normativa dettata per le spiagge, che peraltro già presenta oggettive criticità, elementi di inapplicabilità e – in alcuni casi – persino profili di incompatibilità rispetto alla stessa direttiva Bolkestein».
Il motivo è semplice: come ha fatto notare Confindustria Nautica, «la direttiva Bolkestein all’articolo 1 stabilisce che disciplina “la libera circolazione dei servizi”; all’articolo 2 stabilisce che “la presente direttiva non si applica: (…) ai servizi nel settore dei trasporti, ivi compresi i servizi portuali”; e all’art. 12 stabilisce che solo “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali”». Inoltre, prosegue l’associazione, «la sentenza della Corte di giustizia europea del 20 ottobre 2007, n. 174/06, ha statuito che gli elementi fondamentali delle concessioni demaniali dei porti “inducono ad assimilarle alla locazione di beni immobili”. E la sentenza della Corte di giustizia europea del 14 luglio 2016 “Promoimpresa” ha affermato che l’utilizzazione dei beni portuali non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/23 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, perché “non dovrebbero configurarsi come concessioni di servizi”».
Per questo, secondo Confindustria Nautica ci sono tutti gli elementi per escludere le strutture per la nautica da diporto dall’applicazione della direttiva Bolkestein e quindi dalla “legge sulla concorrenza 2021” che l’ha recepita, imponendo le gare delle concessioni entro la fine del 2023. Il governo Meloni ha rinviato il tutto di un anno, ma il Consiglio di Stato ha bocciato ripetutamente questa proroga e ora l’esecutivo dovrà varare una legge di riordino definitiva. I tempi sono molto stretti e per ora Palazzo Chigi si è limitato a lavorare a una mappatura che ha dichiarato come solo il 33% dei litorali italiani sia occupato da concessioni, e dunque non sussisterebbe la “scarsità di risorsa”. Ma la Commissione europea, nella lettera di parere motivato inviata a novembre 2023 per mettere in procedura di infrazione l’Italia a causa del mancato rispetto della Bolkestein, ha contestato l’affidabilità dei dati della mappatura e il commissario al mercato interno Thierry Breton ha chiesto che l’analisi delle coste sia qualitativa e non quantitativa. La vicenda, insomma, è ancora aperta e nelle prossime settimane si capirà come il governo intende risolvere la questione: l’ipotesi è che i porti turistici verranno trattati separatamente dalle concessioni degli stabilimenti balneari, ma per ora non c’è ancora nulla di ufficiale.