Certamente la grande voracità predatoria che distingue il dentice corazziere fa sì che le tecniche buone per insidiarlo siamo molte.
Pur essendo un pesce che in alcune condizioni di corrente, temperatura e presenza di pesce foraggio, si alza abbastanza dal fondo sulla colonna d’acqua, è comunque un pesce con abitudini piuttosto bentoniche e spesso gli attacchi avvengono molto vicini al fondo. Questa è la ragione per la quale la traina con il vivo, specie in situazioni di forte corrente che possiamo incontrare pescando a certe batimetrie, non è per nulla semplice.
Detto ciò, l’inchiku in molte aree del Mediterraneo continua a dare ottimi frutti, anche se molte volte sono gli esemplari più piccoli ad attaccarlo con maggiore voracità. Ciò non toglie che sia un’alternativa sempre valida e che può regalare quando meno ce lo aspettiamo una cattura da sogno.
Negli ultimi tempi, non posso certo nascondere però che sono state altre le tecniche e gli artificiali che mi hanno regalato il maggior numero di esemplari di grossa taglia e giornate di pesca con carnieri importanti.
Le tecniche che credo siano le più vincenti in termini di pesca verticale sono il kabura pesante e un’altra tecnica che pratico da qualche tempo, che prevede l’impiego di teste piombate abbinate a shad, ma di quest’ultima parleremo in un prossimo servizio.
Per kabura pesante intendo una tecnica che impieghi artificiali di generose dimensioni da “farcire” con ami molto resistenti. Mai dimenticare che il corazziere si distingue per una bocca ampia e sia la sua mascella che mandibola sono munite di fortissimi denti conici, tra cui ne spiccano alcuni caniniforme e ben sporgenti nella parte anteriore dell’apparato boccale. Un corazziere di taglia, si pensi ad un pesce di 10 chili, per non parlare di uno di 20, possiede nella bocca una forza mostruosa, nulla di paragonabile a quella di un dentice o di altre comuni prede del Mediterraneo.
Personalmente ho visto più volte ami spezzati o aperti dalla potentissima dentatura di questi pesci, dunque, meglio non sottovalutare mai questo aspetto.
I kabura che più amo hanno una forma che ricorda la testa di un polpo, e delle alette laterale che gli rendono stabilità in acqua e una buona fluttuazione e nuoto che noi animeremo con la canna. Amo i kabura che si distinguono per la presenza di un voluminoso gonnellino nella parte bassa dell’artificiale realizzate in materiale gommoso molto morbido e mobile e da almeno un paio di nastri lunghi una ventina di centimetri che ricordano i lunghi tentacoli di un cefalopode.
Recupereremo i nostri kabura in maniera lenta, facendoli strisciare e saltellare su rocce e fango, alzandoli alcuni metri dal fondo con del colpetti fatti in verticali con la vetta della canna, che ne animeranno il movimento in maniera accattivante specie se l’intensità data non sarà sempre la stessa.
Anche se non è la scelta più apprezzata dai puristi delle pesche verticali, in molti innescano (decisamente con successo) gli assist hook del kabura (o di artificiali simili) con delle striscioline di calamaro o seppia o, in alternativa, innescando sui due ami (impiegandoli come se fossero un amo trainate, il più alto, e un amo ferrante, il più basso) dei cefalopodi interi (morti o vivi). Anche in questo caso, le esche di maggior successo sono seppie e calamari.
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