Educazione a bordo: come convivere in barca in modo pacifico

Educazione a bordo: qualche consiglio per convivere in barca serenamente, senza litigare…

Le ferie (in barca) sono ancora un miraggio, ma è sempre cosa buona fare un bel ripasso su come comportarci a bordo, su come riuscire a convivere per due/tre settimane in spazi ristretti, e magari con sconosciuti. Insomma, l’educazione a bordo non conosce stagione.

Piccoli trattati utilissimi per far aumentare la consapevolezza di chi si approccia ad una vacanza del tutto particolare, fatta di momenti indimenticabili al cospetto della natura, ma anche di possibili stress, e di spazi che farebbero venire l’ansia ad una cavia da laboratorio. Vademecum altrettanto utili per i comandanti, che possono trarne spunti, e “regole”, da suggerire al di là della propria esperienza.

Tuttavia, quando l’argomento trattato non è il “bon ton” all’interno dell’imbarcazione, ma quello che deve essere dedicato a tutto ciò che è esterno all’imbarcazione stessa, il materiale a disposizione non è altrettanto cospicuo. Probabilmente perché in questo caso la figura coinvolta in prima battuta è proprio quella del capobarca, che dovrebbe (e deve) essere tenuto a trasmettere alcune regole “base” al proprio equipaggio. Soprattutto se si tratta di un equipaggio occasionale, e con poca esperienza.

Questo articolo non pretende di esaurire l’argomento, né di suggerire regole che trascendano l’ovvio, tuttavia il tentativo di fornire qualche spunto di riflessione su argomenti che non compaiono in nessun testo formativo per la conduzione di un’imbarcazione, a nostro avviso va fatto.

In alto mare non sono molte le occasioni di interagire con altri equipaggi o imbarcazioni (regole per evitare gli abbordi in mare, o saluto con la bandiera a parte), ma una delle situazioni che distinguono un gruppo ben indirizzato dal proprio Comandante, è il corretto utilizzo della radio. Tutti conosciamo le regole che la riguardano: ascolto sul 16, silenzio assoluto per i primi tre minuti allo scadere delle ore e delle mezz’ore, comunicazioni brevi e finalizzate al passaggio ad altro canale, ecc. Eppure è esperienza di tutti aver ascoltato proprio sul 16 conversazioni private, lazzi, o musichette amplificate dal proprio smartphone.

L’educazione parte dalle piccole cose, anche in barca

A volte invece sono gli atteggiamenti quasi inconsci ad intaccare il savoirfaire in mare: chi non ha mai notato come spesso imbarcazioni che si approcciano all’imboccatura di un porto da direttive diverse, aumentino sensibilmente il numero dei giri motore per passare prima? Oppure come non cambino la propria rotta se non all’ultimo, quasi fosse un punto di onore non cedere il passo? Va ricordato che qualsiasi logica automobilistica non dovrebbe appartenere a chi va per mare, ma quante volte assistiamo a discussioni “da incrocio” per una precedenza contesa al carburante? O a sguardi incattiviti quando due imbarcazioni lasciano l’ormeggio insieme, e lo spazio è poco?

Spesso si tratta di piccole cose, legate ad una conoscenza elementare delle regole comuni, e ad un pizzico di buon senso e di empatia. In poche parole, di educazione. All’interno di un’imbarcazione è il corretto utilizzo del proprio “spazio vitale”, e il rispetto empatico per quello degli altri, a determinare il successo di una forzata convivenza.

Se da questo microcosmo si passa a quello più ampio composto dall’interazione tra le diverse imbarcazioni, il principio non cambia: ci vuole cura per il proprio ambiente (la propria barca), e rispetto e capacità di immedesimazione per lo spazio vitale degli altri: i nostri vicini sulle loro imbarcazioni.

L’interazione tra i rispettivi “spazi vitali” è immediata in porto, così come in rada. Comincia dall’ormeggio, e dalla differenza che fa un comandante che abbia saputo distribuire ruoli e compiti, che comunica le sue direttive con calma e autorevolezza, e che abbia già istruito il suo equipaggio su come prendere “contatto” con le altre imbarcazioni  ormeggiate (mezzo marinaio mai dal lato del puntale; mai aggrapparsi ai candelieri altrui; ecc. ecc.), rispetto ad un Comandante che urli i suoi ordini, magari condendo il tutto con insulti o parolacce, e che dimostri di avere un equipaggio istruito male, o peggio, “condotto” male. La reazione istintiva di chi è già in banchina, o all’ormeggio, sarà di diffidenza e difficilmente cambierà.

Le banchine sono un bene comune, non possiamo far scavalcare agli altri equipaggi le nostre cose ammucchiate, o la nostra passerella buttata come viene, e allo stesso modo il pattume dovrebbe passare direttamente dalla barca alla raccolta differenziata che ogni marina offre, senza “soste” intermedie. Inoltre è usanza sempre più comune avere piccoli “amici” a bordo, cani soprattutto.

La gestione delle loro passeggiate, e degli inevitabili bisogni fisiologici, va gestita con cura particolare (e doverosa), o sarà motivo di scontro. Al fatto poi che in porto vadano utilizzati solo i bagni del marina e non i propri (a meno di non avere un serbatoio per le acque nere, che va invece assolutamente usato in rada), non è nemmeno il caso di accennare.

L’operazione di caricare le batterie, lasciando il motore acceso sopravento ad altri andrebbe evitata per ovvie ragioni. In mare poi non mancheranno certo le occasioni per farlo. Eppure è quanto si vede fare spesso, e succede ogni volta che le nostre (spesso presunte) esigenze divengono più importanti del disagio arrecato agli altri.

Un’altra occasione nella quale a bordo si può invadere lo spazio altrui, e quindi venir meno a un senso di educazione basica, è quella del “rumore”. L’estate è fatta per l’entusiasmo, la musica alta, le chiacchierate interminabili, gli scherzi, e quant’altro, ma guardiamoci sempre intorno, e buttiamo un occhio all’orologio la sera, soprattutto in rada. I litigi, le “piazzate” anche al telefono, come se non ci fosse nessuno accanto, sono un retaggio che ci portiamo spesso dalla città, ma che in un marina o in rada hanno effetti completamente diversi. Qui non siamo più “protetti” dall’anonimato che l’ambiente urbano, nel bene e nel male, offre. Sentire in rada un marito che inveisce contro la propria compagna, o assistere ad un litigio prolungato a bordo della barca accanto, non solo crea disagio, ma spesso genera altrettanta aggressività.

Un ultimo accenno riguarda la “cortesia”. Offrire il proprio aiuto all’ormeggio ad un’altra imbarcazione, legare le proprie cime sotto quelle di chi ha già ormeggiato, utilizzare un numero congruo di parabordi in aggiunta (e non spostando) a quelli di chi è già all’ormeggio, chiedere “permesso” quando è doveroso farlo, e così via, sono accortezze che creano, con poche eccezioni, un clima disteso. Persino leggere il regolamento interno del marina che ci ospita (sono sempre molto dettagliati, e utili) può essere considerato un gesto di cortesia e di educazione verso il comune spazio occupato. In ogni caso un “buongiorno”, o un sorriso, fanno spesso la differenza tra una vacanza goduta, o la riproposizione durante le ferie di tutto quello che già viviamo in città.

Gioacchino Ferrari

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