Il Neverin
Se salpi da Premuda e vai verso sud non hai molte scelte, la piรน probabile meta sarร Punte Bianche, dove s’apre quell’ampia baia che curiosamente viene chiamata “Pantera”.
Nessuno mi ha ancora saputo spiegare l’origine cosรฌ esotica di questa denominazione e piรน tardi, inoltratomi nello stretto canale che porta nella sacca di Cuna, ho scoperto che l’insegna del “Ristorante Verona” non era un omaggio alla cittร scaligera, ma il retaggio del toponimo italiano “affettuosamente” conservato dal gestore, nonostante la slavizzazione del borgo che attualmente gli indigeni chiamano Verunic.
Abbiamo ormeggiato in “Pantera” a uno dei tanti corpi morti sparsi nella baia e con il tender, prestatomi da Michele, spinto perรฒ dal mio Mercury d’epoca, ho raggiunto insieme al mio equipaggio l’approdo “Verona”.
Tutti i tavoli erano occupati da navigatori teutonici, siamo stati perciรฒ gli unici italiani in grado d’apprezzare la ragione sociale della trattoria. Il classico menรน di buon pesce alla griglia รจ stato minato da un cielo che, giร da alcune ore, s’era chiuso e ingrigito di nubi. Facciamo fretta al cameriere per avere le โpalacinken”,
E’ lui: il “Neverin”, direzione Nord Nord Ovest, intensitร stimata superiore ai quaranta nodi, pioggia fitta, battente e ghiacciata. Con la giacca della cerata esco in coperta e vado a prua a controllare le due cime che, giustamente, sono state passate nell’anello sotto il gavitello. Sarei tentato di passarne un’altra, o di filare frettolosamente l’ancora; รจ troppo tardi per qualsiasi manovra non mi resta che confidare nella speranza che “tutto” tenga, rientro con un freddo addosso che mi fa letteralmente battere i denti.
Dobbiamo percorrere tutta la lunga baia per arrivare a bordo e temiamo di beccarci un temporalaccio estivo. Il mio antico Mercury finalmente parte al ventesimo tentativo di messa in moto: รจ un chiaro presagio dopo le rituali dieci tirate di corda che coincidono con la corale constatazione dell’equipaggio che … portare con sรฉ i remi del gommone รจ sempre piรน prudente. Cadono alcune gocce, ma sono troppo poche per bagnarci in quei venti minuti di tragitto che ci servono per raggiungere la barca. Saliti a bordo, tutti e quattro a turno ci cimentiamo nel diagnosticare l’evolversi del tempo: “sta girando” dice Nelly, “per me passa oltre” rincara Paola “al massimo sarร un temporale estivo” interviene cautamente Roberto. Io invece che sono lo skipper, non posso banalizzare, debbo sentenziare con autorevolezza. Ci sono nubi nere ovunque, su tutti e quattro i punti cardinali per cui declamo: “se la vien da ponente no la vien per niente, se la vien da levante non xe importante!“. Di fronte a tale scienza nessuno replica, ci facciamo ancora un “goccetto” e poi tutti a nanna.
In mare ci si alza presto e si va a dormire presto, per cui circa alle dieci stiamo giร sognando orizzonti blu. Alcuni minuti dopo la mezzanotte la barca incomincia a vibrare, sempre piรน forte e ancora piรน forte, e nel giro di pochissimi attimi gli scossoni aumentano e non solo sopra di noi, ma in tutta la baia si leva il concerto di alberi, drizze, scotte e sartie investite dal vento e da una pioggia ghiacciata che pesta sulla coperta.
Da fuori giungono le voci concitate, sono urla, sembrano in tedesco o in una lingua molto simile; indosso una tuta e, questa volta, m’infilo anche le brache della cerata. Ritorno fuori a controllare la situazione: non si vede nulla intorno, tranne le frecciate luminose del grande faro e odo, piรน forti di prima, le voci concitate che urlano parole che non capisco. Mi viene allora in mente il relitto della nave che ho visto ieri affiorare a meno di un miglio dalle Punte Bianche.
Come sarร successo? Cancello l’immagine dalla mia mente e ritorno sotto coperta dove il mio equipaggio mi accoglie con un unisono “com’รฉ fuori?”. La mimica sopperisce a ogni risposta e restiamo tutti in quadrato ad aspettare, consultando frequentemente gli orologi. Sembra una veglia, ma nessuno ha il coraggio di accennarlo, anzi con un mezzo sorriso si sottolineano le raffiche migliori, come per compiacersi di tanta bravura; finchรฉ le sventolate calano di intensitร e gli ululati del vento diminuiscono.
Le urla sono cessate e non si ode piรน nemmeno una voce. Dopo una lunghissima e interminabile ora, cioรจ non piรน di sessanta minuti, siamo nuovamente ognuno
Solo due giorni piรน tardi, a Zara, lo skipper di un 18 metri, anche lui a Pantera quella famosa notte, mi completerร il racconto di ciรฒ che non ho potuto vedere o capire. “Il vento ha toccato i 50 nodi” mi ha detto “e a una barca, che s’era ormeggiata insieme a un’ altra sullo stesso gavitello, s’รจ aperto il genoa dall’avvolgifiocco: ha rotto o ha dovuto mollare l’ormeggio ed รจ passata sfrecciando in mezzo alle altre imbarcazioni; a noi (a lui !) ci ha sfiorati di pochi metri. Sarebbe stato un disastro.”
nella propria cuccetta. Dormiamo? Forse, a tratti perรฒ! La mattina dopo c’รจ un sole splendente e soffia un borino frizzante.
Ricordo un altro “Neverin” con molte similitudini di possibili “abbordi” come questo vissuto a Punte Bianche, ed รจ quello toccatomi nellโaltro secolo e nellโaltro millennio nella indimenticabile Barcolana del 1991, proprio alla virata della prima boa, al traverso di Muggia: fra tante barche vicine, con tantissimo vento e tantissima pioggia. Mi sovviene ora un codicillo al mio precedente sentenziar sul maltempo: “Col Neverin, ocio a ponente ocio a levante che te riva contro el lughero sfrecciante “.
Buon vento.
(โLugheroโ – espressione dialettale per indicare gli austriaci, vestiti alla montanara con la giacca tradizionale grigia e i risvolti verdi, che richiamano il piumaggio del lucherino, un piccolo uccello grigio-verde)