L’odissea del St. Louis, il transatlantico della salvezza – 27 gennaio, Giorno della Memoria
Vedevano il sangue dei loro genitori misto ai vetri distrutti delle Sinagoghe, dei loro negozi, delle loro strade. Risentivano le urla dei loro figli massacrati dalle SS, respiravano l’odore di bruciato e polvere da sparo, percepivano ormai il terrore di essere ebrei.
Solo pochi giorni prima avevano ottenuto dal Raicht il visto per lasciare il paese. Un visto da turisti costato uno sproposito.
La St. Louis e il suo capitano Gustav Schröder li avrebbero condotti verso quei paesi che ancora non avevano approvato le leggi razziali di Norimberga. Il transatlantico della salvezza: così venne ribattezzato.
Alle ore 20 la St. Louis salpava, direzione Avana.
La navigazione procedeva senza intoppi, nella sala da ballo dove il capitano Schröder, aveva fatto rimuovere la gigantesca immagine di Hitler, la gente celebrava riti religiosi cercando di dimenticare l’angoscia di un futuro opaco.
Il 27 maggio la nave approdò a Cuba ma le speranze di sbarco furono disattese da burocrazie inutili, corruzione dilagante e troppi pregiudizi. Il visto da turisti non era sufficiente, occorreva quello per rifugiati: costo 500 dollari. Solo in ventinove poterono pagare quella cifra e sbarcarono.
La St. Louis fu costretta a riprendere il mare. Nuova rotta: Stati Uniti. Giunta in America l’ennesimo rifiuto di sbarco: “non possiamo considerarli turisti e abbiamo già raggiunto la quota d’immigrati prevista” furone le parole della diplomazia alle dipendenze del presidente Roosevelt nonostante una serratissima campagna del New Yorkers Times a favore dello sbarco dei passeggieri. Alcuni riuscirono a sbarcare pagando tangenti.
Il capitano Schröder incassa l’ennesimo rifiuto e il sei giugno salpa puntando verso nord: Canada. Ma non ebbe fortuna, neppure il Canada ritenne validi quei visti per turisti. Anche qui dietro esborsi di denaro più o meno leciti, qualcuno riuscì a scendere.
Un messaggio inviato dal responsabile della Jewish Joint Distribution Committe in Europe capovolse la situazione: “Sono felice di informarvi che i governi di Belgio, Olanda, Francia e Inghilterra si sono resi disponibili ad accogliere gli ebrei a bordo”.
Il 17 giugno la nave St. Louis fa il suo ingresso trionfale nel porto di Anversa. La maggior parte dei passeggieri sbarca e resta in Belgio, un’altra parte prosegue per la Francia, gli altri s’imbarcano di nuovo per raggiungere l’Inghilterra. La felicità era ormai a portata di mano se non fosse che da lì a poco, il 10 Maggio 1940 la Germania avrebbe dato il via all’invasione del Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Francia.
Per i passeggieri della nave della salvezza, e non solo per loro, l’inizio della Shoah.
Nel 1974 venne pubblicato un libro dal titolo “Il viaggio dei dannati” di Max Morgan Witts e Gordon Thomas, psicologo statunitense, con le prime stime dei sopravvissuti, dopo lo sbarco ad Anversa, all’Olocausto. Risultavano essere 709.
Successive ricerche svolte dal United States Holocaust Memorial Museum mostrano altri numeri. “Dei 620 passeggieri del San Louis che tornarono nel continente europeo, abbiamo determinato che 83 sono stati in grado di emigrare prima che la Germania invadesse L’Europa occidentale.
I 254 passeggieri accolti in Belgio, Francia e Paesi Bassi sono morti, dopo l’invasione, nei campi di sterminio di Auschwitz e Sobibór. I restanti sono morti in campi d’internamento o nel tentativo di nascondersi o di eludere i nazisti” scrive Sarah Olgive, autrice insieme a Scott Miller della ricerca.
Novecento trentasei ebrei. Novecento trentasei persone. Novecento trentasei vittime dell’odio… non solo nazista.
Dopo la guerra, il capitano Gustav Schroder è stato insignito dell’Ordine del merito della Repubblica Federale Tedesca e nel 1993 Giusto fra le Nazionioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme.
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