tradizione attraverso i miti e le scaramanzie del mare
Anticamente la costruzione di una imbarcazione seguiva rigidi rituali di profonda sacralità. Erano tempi in cui gli dei decidevano della vita e della morte degli uomini, tempi in cui il loro favore decretava la riuscita o meno delle imprese, battaglie, raccolti, amori, viaggi. Insomma i tempi in cui la “captatio benevolentie” cambiava le sorti dell’essere umano. Costruire una barca e navigare tra le acque del mare significava sfidare Poseidone. La “hybris”, l’orgogliosa tracotanza umana, contro la “Tisis”, la punizione divina.
La tradizione delle polene invece nei secoli si è persa. Erano stati i vichinghi ad introdurre l’uso di strutture lignee poste a prora dei “Drakkar” anche se andando indietro nel tempo i greci issavano a prora il vello della capra. Tradizioni, mitologia greca e leggende spesso si fondono ed è difficile trovarne le fonti, diventano dunque semplici credenze o superstizioni.
Le credenze popolari marinare sono innumerevoli molte conosciute altre meno, alcune sensate altre buffe. Il verde assolutamente vietato in barca sembra derivi dall’ossidazione dei chiodi in rame nelle antiche imbarcazioni: chi avrebbe mai intrapreso un viaggio su una nave sgangherata? Le scarpe non si indossano a bordo, in vero solo quelle “da festa”, cioè quelle nuove, perché la tradizione vuole che sia il defunto ad indossare scarpe nuove. Il passo è breve da “defunto” a “scaramanzia”! E mi raccomando assolutamente vietato dire addio ad un pontile… qualcuno vi potrebbe mandare a quel paese!
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