Yves Parlier, l’extra-terrestre della vela

Il soprannome di extra-terrestre Yves Parlier se l’è guadagnato durante la più famosa (e mediatica) delle sue imprese veliche: la Vendée Globe del 2000. Non era neppure la prima volta che partecipava alla regata per eccellenza, l’Everest dei mari, e tante altre rotte oceaniche aveva già percorso, in solitario e in equipaggio: nel 1985 la Mini-Transat, nel 1991 la Solitaire du Figaro, nel 1992 la sua prima Vendée Globe, nel 1993 la Route du Cafè, nel 1994 la Route du Rhum, nel 1996 ancora la Vendée Globe, nel 1997 la Transat Jacques Vabre (a bordo con Eric Tabarly), nel 1998 la Route de l’Or.

Un navigatore vero, e come tutti i veri navigatori appassionato anche di montagna (la natura nella sua espressione pura, come il mare), e di volo (la tecnica e la fisica per sfruttare la forza del vento, come nella vela). Nel 1998 facendo parapendio ha un incidente, cade da 200 metri di altezza. Ma non molla, si rimette in forma e nel novembre del 2000 parte per la Vendée Globe con Aquitaine-Innovations, un open di 60 piedi disegnato da lui stesso insieme a Jean-Marie Finot  e Pascal Conq per essere all’avanguardia della tecnica in tema di barche da competizione. Già, perchè oltre a essere un extra-terreste, Parlier è anche un ingegnere, laureatosi con una tesi sui materiali compositi, e non perde un’occasione per applicare i suoi studi alla tecnica della vela.

Quando Aquitaine-Innovations disalbera in oceano Indiano, mentre Parlier è in testa alla gara più o meno a parimerito con Michel Desjoyeaux e Roland Jourdain, l’ingegnere e l’extra-terrestre vengono fuori in egual misura. Parlier si rifiuta di ritirarsi, accosta sull’isola di Stewart al largo delle coste neozelandesi e decide di riparare l’albero. Per fare la cosidetta “calza” che serve a riparare un albero spezzato (ovvero una sezione intera da mettere dentro l’albero per riconnettere i pezzi) prende la parte superiore dell’albero, la inserisce dentro la parte inferiore, la ricopre di fibra di carbonio, poi la riscalda usando cerate, coperte, sacco a pelo e le lampadine da 25W delle luci di navigazione, creando una sorta di fornace che riesce a portare la temperatura a 60° – sufficiente per far polimerizzare gli agenti e far solidificare il tutto. Aveva metà dell’albero, ma arrivò a casa. Con un mese di ritardo rispetto al vincitore, ma decisamente vincitore morale, come si suol dire.

Che una delle doti fondamentali dell’andar per mare sia saper riparare un po’ tutto è noto. Sopratutto quando si navigano gli oceani, pur senza arrivare alle situazioni estreme di Yves Parlier, dà sicurezza saper essere in grado di aggiustare motore, vele, impianto elettrico e qualsiasi cosa sia a bordo. E per questo, spesso, chi naviga tanto è ancora oggi un po’ ostile all’idea di avere a bordo troppi accessori – tutto quello che c’è su una barca si romperà, di notte, mentre piove, e al largo è la legge di Murphy applicata alla navigazione d’altura. Ma Yves Parlier è un extraterrestre e un ingegnere, appunto, e sa bene che la legge di Murphy significa solo che tutto quello che può accadere accadrà. Quindi innova, senza sosta, applicando le proprie conoscenze alla propria passione.

È stato lui, nel 1985, a concepire e installare il primo albero di carbonio, aprendo la strada a quello che ormai è lo standard nelle barche da regata. È stato lui a costruire il primo catamarano con un albero per ogni scafo, e anche a concepire il primo monoscafo con armo a profilo alare. La sua ultima innovazione è l’utilizzo di kite per la propulsione marina. Lo scopo è ovviamente quello di risparmiare carburante e contribuire alla riduzione di emissioni prodotte dai mercantili e dalle grandi navi a motore.

È un’ottima idea: i kite sono leggeri, hanno sensori di posizione che permettono di regolarli con un sistema idraulico computerizzato, non occupano spazio né fanno peso quando non servono. Secondo Parlier se utilizzati su larga scala consentirebbero di ridurre del 20% il consumo di carburanti da parte dei mercantili. L’interesse intorno al progetto c’è: università, laboratori, industrie stanno lavorando allo sviluppo. Nel 2008 un cargo tedesco ha montato uno dei kite, ma nel frattempo, sempre per la legge di Murphy, il prezzo del petrolio è calato e tutto è stato messo in stand-by. Ma Yves Parlier non ci sembra il tipo che si arrende facilmente.

 

Sara Teghini

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