Absolute, la forza della famiglia… allargata


Absolute Yachts ci ha aperto le porte del cantiere a Podenzano, a pochi chilometri da Piacenza dove abbiamo incontrato Cesare Mastroianni, VP Sales e CCO del brand. Abbiamo scoperto tutto dell’origine dell’azienda, dei valori che l’hanno portata costantemente a crescere, dello spirito che la anima, quello di chi da sempre crede nella forza del gruppo e della famiglia… allargata. Abbiamo anche scoperto come funziona l’ISS, il loro esclusivo modo di fare barche.

Cesare Mastroianni, VP sales e CCO del Brand in cantiere

 

Come e quando nasce Absolute Yachts?L’azienda nasce nel 2002 per desiderio dei due fondatori, entrambi di formazione molto tecnica – produttiva per il primo, Marcello Bè, e progettuale il secondo, Sergio Maggi  di essere indipendenti da qualsiasi condizionamento esterno, liberi di partire dalle tradizioni e dalle competenze acquisite, ma di poter spaziare, ed essere innovativi. Il primo stabilimento, a Carpaneto, non era ottimizzato per la produzione di barche, qui inizia la produzione di piccoli scafi, dai 25 ai 45 piedi. Poi il marchio cresce, crescono le misure delle barche e la presenza sul mercato: diventa fisiologico produrre con tecniche più ingegnerizzate e avere una sede che lo permetta. Nel 2006/2007 si sviluppa un progetto e si costruisce quindi uno stabilimento – a Podenzano – realizzato su misura per dimensioni dell’infrastruttura e per tipo di supporto tecnologico interno, ottimizzato per costruire barche in maniera moderna.

Ce lo spiega nel dettaglio?

Niente è lasciato al caso e l’attenzione per una tecnologia “pulita” è massima. Per esempio, il locale stamperia è climatizzato, con controllo domotico remotizzato, quindi sia nelle fasi di lavoro che nelle fasi di stagionatura notturna dei manufatti c’è un controllo ambientale precisissimo, monitorato a distanza. Lo stabilimento è molto moderno, l’impatto ambientale è praticamente nullo perché lavoriamo con scambiatori di calore in geotermia che utilizzano una pompa di calore elettrica. Negli impianti, soprattutto nella zona stampaggio rifilatura e carrozzeria, tutto il trattamento dell’aria è fatto per l’abbattimento totale delle emissioni.

Una “macchina” complessa da organizzare…

Tutto il compendio funziona egregiamente fino al 2013, poi con il 2014 si pone un nuovo problema di spazi che ha portato alla realizzazione di un ampliamento ed alla ristrutturazione degli attuali stabilimenti. Un’operazione completata a Gennaio 2017. Non perché le barche siano più lunghe ma perché cambia la tipologia: diventa dominante la categoria dei fly e delle navette: le sovrastrutture, a livello di stampo, raddoppiano la superficie necessaria per la lavorazione rispetto a quella che serve per realizzare il solo scafo. Il nuovo capannone è pensato proprio per queste “barche doppie”. 

Dal suo racconto viene subito spontaneo considerare che nel 2008, annus horribilis dell’economia mondiale e della nautica, voi costruivate un nuovo stabilimento, avete dato il via a una nuova produzione di modelli, rinnovandovi completamente… Come è stato possibile?

 

Vero, la nostra è stata una reazione alla così detta crisi: tutti tirano i remi in barca, noi tiriamo fuori i prodotti nuovi. A partire dal 2010-2014 abbiamo rivoluzionato la gamma dei prodotti e da lì in poi si è continuato a fare un’azione di aggiornamento continuo. Questo è stato secondo noi l’elemento di maggiore impatto. Prima del 2008 il brand non era molto famoso fuori dal Mediterraneo, non aveva una gamma universale come oggi. Era orientato nel segmento specifico degli sport cruiser dai 40′ ai 70′ soprattutto per un uso nei nostri mari. Quando arriva la crisi realizziamo un programma, l “l’Absolute Global Project per creare una gamma che fosse assolutamente appetibile a diversi mercati. Si fa quindi una serie di azioni mirate sia dal lato tecnico-progettuale, sia da quello marketing, per essere presenti con un equilibrio nella distribuzione –  e anche sulla percentuale dei fatturati,- tra il nord America, l’Europa continentale e del nord, l’Europa Mediterranea, il Medioriente, l’Asia, il Sud est Asiatico e l’Oceania. Per farlo abbiamo dovuto progettare una serie di barche che fossero più universalmente appetibili.

Nel frattempo, però il mercato era molto cambiato. La crisi ha completamente modificato lo scenario

, e noi abbiamo colto questo cambiamento. Se la clientela predominante prima era più orientata alla barca “status symbol”, per un suo uso saltuario, oggi il cliente vede l’imbarcazione sempre più “cespite” da valorizzare: investo soldi e nello stesso tempo voglio avere tempo per vivere la barca con i miei familiari e amici, poterla usare in termini stagionali. Gli armatori hanno bisogno di spazi e soluzioni che siano più funzionali per la vita di bordo. La “user experience” diventa questa. Da qui abbiamo coniato l’espressione “more value for money”. Diventa fondamentale il capitolato tecnico. Per esempio, sulle nostre barche, già a partire dalla piccola 45′ si ha la cabina marinaio con ingresso separato. È un locale che molti usano come cabina ospiti aggiuntiva perché arredata lussuosamente ed ha una vivibilità in termini di ergonomia che è da cabina ospiti. E’ un plus che abbiamo solo noi tra il 45 e 52.

Ci fa altri esempi esempi?
La superficie utile dei nostri fly, a parità di lunghezza di barca, è almeno il 30-40% in più e in alcuni casi il 50%  di molte barche della concorrenza
 che hanno mantenuto una filosofia ormai superata, di anni in cui l’estetica contava più dello spazio. Siamo intervenuti tecnicamente per ottenere tutto questo. Abbiamo portato il parabrezza più avanti, l’abbiamo raddrizzato, abbiamo prolungato la terrazza di poppa e abbiamo dei flybridge che diventano praticamente una seconda barca. E’ un lavoro che parte da lontano, dalle prime fase di concepimento delle barche…

Una vera industrializzazione del progetto, quindi.
Direi proprio di sì. Ad esempio la scelta di realizzare le barche più grandi in due parti, trasportabili separatamente su camion, ci permette di avere delle altezze interne che non ha nessun altro. È stata fatta un’opera di ingegneria specifica. I nostri modelli, dalla 52 Navetta in su, viaggiano su due camion per essere trasportate al mare, montate in un giorno e messe in acqua. Questo è un contenuto tecnologico molto interessante.

 

Insomma, la crisi vi ha rafforzati?
Quella che è stata considerata una crisi economica di cui la nautica faceva parte, noi la vogliamo considerare una ristrutturazione. Il mondo aveva creato una “bolla” insostenibile, che quando è scoppiata ha portato a un ridimensionamento, che ci ha fatto ripartire su un livello differente. Noi ci siamo immediatamente riorganizzati e riparametrati su quello: a livello di risorse finanziarie, economia interna, non abbiamo fatto un’ora di cassa integrazione e non abbiamo licenziato nessuno. Anzi, il personale dal 2010 al 2016 è praticamente raddoppiato. Non abbiamo mai fermato la produzione, abbiamo solo cambiato rotta e abbiamo abbandonato i vecchi modelli, puntando immediatamente alla globalizzazione. Rotta che abbiamo seguito in modo sistematico.

È evidente che i numeri del mercato siano diminuiti comunque. Avevate le spalle grosse per sopportare tutto questo?

Il calo delle vendite è durato un anno e mezzo, poi hanno ricominciato a crescere di nuovo. Le spalle grosse derivano dalla scelta di non aver mai acquisito finanza esterna, come hanno fatto altri grandi cantieri. La finanza non del settore bada solo alla ciclicità di redditività finanziaria a scadenza, con dei parametri da mantenere che sono quelli stabiliti a tavolino, freddamente. Non c’è l’apporto di passione, di disponibilità al sacrificio che ha l’imprenditore che vive la sua azienda. Questo è un aspetto di diversità tra noi e quasi tutti gli altri, e ancora adesso continuiamo a lavorare con finanza esclusivamente interna.

 Ci racconta meglio l’anima imprenditoriale di Absolute?
Il management –
 Angelo Gobbi, Sergio Maggi, Paola Carini, Marcello Bè, Giuseppe Bertocci e Patrizia Gobbi – coincide con la proprietà e anche questa è un’altra decisione strategica. Nel momento in cui quindi c’è stato bisogno di fare sacrifici, hanno fatto quello che probabilmente nessun altro imprenditore della nautica ha fatto: hanno investito ulteriori soldi, oliato nuovamente e riordinato la macchina. Sono tutti tecnici, nati e cresciuti nella nautica, quindi con una fortissima quota di passione e dedizione all’azienda. È una famiglia allargata

Altro aspetto che vi contraddistingue è aver internalizzato tutto il ciclo produttivo e di progettazione.
Non abbiamo nessun tipo di collaborazione esterna. Abbiamo ovviamente i fornitori, ma la barca viene progettata, prototopizzata, sviluppata e assemblata interamente qui. Le strutture in vetroresina sono fatte tutte qui. Avere sotto controllo tutto il ciclo e tutti i costi ci ha permesso in quegli anni più difficili di ottimizzare i costi, senza intervenire sul personale, ma da altre parti. L’investimento per creare un vero know-how parte anche da una “fidelizzazione umana”. Aver formato una squadra è stata una grandiosa capitalizzazione”.

Come funziona questa famiglia allargata? 
Il livello organizzativo non è piramidale, c’è una impostazione a due livelli: un board di direzione che condivide settimanalmente, metodi, problemi e soluzioni, e c’è la squadra con cui lavoriamo sempre a stretto contatto. Non c’è burocrazia, non c’è delega, il processo è immediato. La reattività rispetto a qualsiasi fenomeno in azienda e fuori azienda avviene nei tempi più brevi possibili.

Questa struttura familiare che è sicuramente reattiva e in cui si decide tutto dall’interno, non può essere considerata allo stesso tempo un limite verso l’innovazione? Che strade state percorrendo per il futuro?
Non siamo soli in questo processo ma c’è la rete dei concessionari ai quali a ogni meeting ripetiamo – come un mantra – “diteci tutto quello che captate nel mercato”. Siamo sempre pronti a metterci in discussione totalmente se qualcosa non piace al pubblico. Se capiamo che dobbiamo cambiare qualcosa, la cambiamo. Siamo bene attenti quindi ad ascoltare le esigenze del pubblico, tramite i dealer o, dove è possibile, direttamente. Inoltre ascoltiamo le proposte o ipotesi dei fornitori che, lavorando in più mercati come l’edilizia, l’automobile, la domotica, colgono i nuovi trend prima della nautica. 

La vostra voglia di innovare sempre è ben rappresentata dal vostro impegno nell’investire negli IPS. Sin dal primo momento.
, la scelta nel 2006 di adottare gli IPS di Volvo Penta come unica forma di propulsione è illuminante. Con loro abbiamo contribuito allo sviluppo degli IPS stessi. Cito dei fatti storici: gli IPS3 e l’IPS15 hanno potuto beneficiare dei nostri scafi che i progettisti Volvo Penta hanno usato per testare i nuovi prodotti. Non è soltanto una fornitura, ma collaborazione e ottimizzazione. Siamo stati i primi a mettere la quadrupla IPS 600 sul 70 piedi, tra i primi a mettere la tripla IPS 600 sul 56’.

Abbiamo lasciato alla fine la domanda più importante, ci descrive l’ISS il vostro esclusivo modo di costruire barche?
Il metodo tradizionale prevede che lo scafo venga estratto dal suo stampo e venga poi poggiato sul suo fondo un “vassoio” su cui vengono a sua volta inseriti i vari moduli e gli impianti. Poi viene unita la coperta e il tutto viene chiuso. Da noi i processo è diverso. Noi stampiamo lo scafo e mentre questo avviene costruiamo in falegnameria gli interni, fatti e finiti,  su un “fake”, una struttura metallica che simula la barca. Già lì i legni, multistrati e compositi, fatti apposta per noi e tagliati a controllo numerico, vengono fascettati, resi un pezzo monolitico. Questi vengono presi e inseriti nello scafo mentre questo è ancora nello stampo – non c’è nessun vassoio di fondo – e vengono fascettati allo scafo. Sopra viene messa la coperta, e questa viene prima incollata  e poi a sua volta fascettata perimetralmente. A quel punto la barca è chiusa e sigillata, non si è ancora mossa, è ancora nello stampo. Solo allora viene estratta e messa a terra. Solo allora vengono inseriti motori, serbatoi, generatori, impianti…

Absolute 50 Fly

 

Quali sono le criticità di questo procedimento?
Devi progettare tutto prima a 3D
: dalla lampadina, la cassetto, alla vite… Ciò impegna moltissime ore uomo. La numero 1 è però già un prodotto perfetto e finito, non un prototipo. Le vie di corsa per cavi e impianti sono preforate a controllo numerico. Non c’è nessun margine di improvvisazione. Chi installa gli impianti non ha indecisioni da prendere. Partiamo da una distinta base codificata e industrializzata, sappiamo già prima come sarà tutto quello che dovremo mettere nella barca, e come dovrà funzionare, anche tutto quello che ci arriva dai fornitori. 

I vantaggi?
La barca è più leggera, hai bisogno di meno materiale per farla, ma è più rigida. Non ci sono flessioni e quindi scricchiolii o rumori molesti. C’è anche maggior isolamento termico e acustico. L’ISS rende poi possibile la realizzazione della barca in due parti separate che fa si che siano più facile il trasporto e l’assemblaggio, di cui parlavamo prima. Con questo sistema di costruzione diventa più facile anche la futura manutenzione: “tutto quello che entra nella barca esce”, non bisogna rompere nulla. 

 

 

 

Redazione


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