” Il gozzo sorrentino va ascoltato e capito, perché racconta una storia, la nostra, e ci indica una strada, quella della ricerca di una qualità della vita che abbiamo perduto”.

Parlare con Cataldo Aprea, amministratore delegato di Imbarcazioni d’Italia, a prescindere dall’argomento, che sia mare, barche o visione della vita in generale, si incappa in quella capacità di evocare immagini attraverso le parole che era tipica di generazioni passate, quando di immagini non eravamo soffocati  e l’affabulazione era un modo di stare insieme che si faceva arte.

Cataldo APREA
Cataldo Aprea

Il fatto che Cataldo appartenga alla quarta generazione di maestri d’ascia, e sia espressione di una famiglia con 170 anni di storia alle spalle, autorizza a immaginare anche una vena di saccenza, che invece svanisce nella leggerezza dei racconti, nella risata improvvisa, nei picchi di entusiasmo generati da un ricordo.

Quello che non è possibile fare, è contenere la foga oratoria del maestro d’ascia. Lo abbiamo chiamato per cercare, inutilmente, di sapere qualcosa di più sulla prossima novità, un nuovo gozzo che verrà portato al salone di Cannes e presentato per la prima volta al pubblico il primo settembre a Capri. Argomento liquidato in due minuti: “Sarà un natante di dieci metri – ci ha detto Aprea – rispettoso delle tradizioni ma con innovazioni che sorprenderanno”.

Dopodiché le parole diventano ciliege: una tira l’altra, componendo frasi che generano pensieri.

Quella di continuare a produrre gozzi sorrentini è quasi una missione per lei. Da dove viene?

Dalla voglia di non rassegnarsi di fronte a quella che era un morte annunciata del gozzo. Era il 1983 , ero un giovanissimo maestro d’ascia, e l’idea fissa era di trovare una strada, non solo per non fare scomparire il gozzo, ma per rilanciarlo. Così ho iniziato a disegnare i primi scafi.

La sua idea di rilancio del gozzo sorrentino, faceva un po’ a cazzotti con i canoni classici.

C’era una diffusa concezione di questa barca come una barca storica. Io volevo preservare tutta la potenza del suo racconto, tutto il peso e il valore della sua storia, innovando. Io ho fatto studi classici, amo il classico ma sono un uomo del mio tempo e, soprattutto, non mi rassegno a vedere morire le cose di qualità per la mancanza di coraggio di sperimentare.

Apreamare 38 open aprea
Apreamare 38 open

 

In questa sua sfida ha avuto un compagno di avventure piuttosto in sintonia con la sua visione delle cose.

E come no. Sta parlando di Brunello Acampora. Lui ed io abbiamo fatto un viaggio a ritroso lungo i 170 anni di storia della famiglia Aprea, con un sentimento di rispetto profondo e una grande voglia di stravolgere. Abbiamo compensato queste spinte, aperto gli occhi e scovato tanti incroci lungo la strada dove inserire le nostre idee, la nostra spinta a innovare.

Ma in cosa consiste questo connubio fra rispetto del classico e innovazione?

Sta nel rispetto delle forme classiche, nel mantenere viva l’idea di fondo da cui scaturisce il gozzo, ossia una barca bella, molto marina, capace di portarti a pesca con qualsiasi tempo, unita alla capacità di accogliere le nuove tecnologie e i nuovi materiali, non rifiutare quanto la ricerca e il progresso possano portare di nuovo. Guardi che quando abbiamo prodotto il primo gozzo in vetrorersina, mi hanno dato tutti del traditore, compresi i miei famigliari. Dieci anni dopo tutti facevano i gozzi in vetroresina.

apreamare 44 aprea
La plancia dell’Apreamare 44, la barca raffigurata nella foto d’apertura

La sua famiglia ha avuto un ruolo importante nella sua formazione di imprenditore.

Certamente. In realtà mio padre voleva che facessi altro, per la precisione sognava un futuro da notaio. Ma io avevo assorbito passione e cultura del mare da quando ero in fasce e nella mia vita non ho mai voluto fare altro. Mio padre si è dovuto arrendere e mi ha preso in azienda a spazzare per terra. Agli inizi facevo le pulizie e andava bene così. In definitiva è vero che avevo chiaro il fatto che volessi diventare un maestro d’ascia e volessi costruire barche, ma a 18 anni ero uno scellerato, ero la pecora nera di una grande e estesa famiglia di cui mio padre Giovanni  era il patriarca. Iniziare da zero, anche se in famiglia, mi ha portato a conoscere a fondo i meccanismi dell’azienda, ma soprattutto ad assorbire la visione artigianale di questo lavoro che va preservata anche accogliendo tutte le innovazioni tecnologiche possibili.

Nel 2001 venite comprati dal gruppo Ferretti che contribuisce a internazionalizzare il marchio Apreamare. Ma nel 2010, in piena crisi, decidete di ricompravi l’azienda. Perché?

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il Maestro 82, l’ammiraglia della flotta. Le linee classiche applicate a un grande yacht

E’ stato un atto d’amore. Non ci sono altre spiegazioni. Un atto d’amore per la nostra storia. E non parlo solo della storia della mia famiglia ma quella di generazioni di costruttori, pescatori, appassionati. Un pezzo di storia di questo Paese e delle sue tradizioni. Il gozzo rappresenta una delle voci che ci parla di uno stile di vita diverso da quello imposto dalla vita di oggi, ci dice che anche per mare possiamo riscoprire il piacere di concederci più tempo, di non cercare la velocità estrema in tutte le cose, di dedicare più tempo a noi agli amici alla famiglia al mare.

Che però deve fare i conti con un mercato e una produzione. Da questo punto di vista Apreamare cosa è oggi?

Oggi produciamo circa 10 barche all’anno con l’obiettivo di arrivare a 20-25. Nel 2015 siamo entrati a far parte del gruppo Cose Belle d’Italia, una holding che mette insieme eccellenze italiane e che attraverso Imbarcazioni d’Italia, veicolo controllato al 100%, ha sottoscritto un contratto pluriennale per l’utilizzo dei marchi Apreamare e Maestro.

E soprattutto avete questo nuovo progetto che ormai è una realtà, il nuovo gozzo che presenterete a Capri il primo settembre. Un punto di arrivo o di partenza?

Entrambe le cose declinate in modo diverso. Le nostre barche sono un punto di arrivo per gli armatori. Chi sceglie una nostra barca ha di solito alle spalle una buona esperienza di mare, non ha voglia di dimostrare nulla agli altri, né tantomeno desidera affermare uno status symbol attraverso la barca. Piuttosto vuole dire e dimostrare qualcosa a se stesso. E’ nello stesso tempo un punto di partenza perché la nostra voglia di sperimentare non si ferma qui. E se ci penso è sempre stato così. Perché è vero che tutta la mia famiglia era contro di me quando feci planare il mio primo gozzo, ma in realtà il primo a compiere un gesto rivoluzionario fu proprio mio padre, quando mise il motore di una Balilla su un gozzo. Forse non lo sapeva, ma stava aprendo la strada a una innovazione che ha segnato il futuro.

 

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