di Sara Teghini
Quando non si può navigare davvero, ci si accontenta di navigare sul web: la differenza non è solo l’ambiente chiuso dell’ufficio e la mancanza di quella sensazione impagabile di vento in faccia, ma anche la costante ricerca di novità, di curiosità, di cose nuove, opposta alla bellezza del momento in cui, timonando o alzando gli occhi dal libro in pozzetto, vediamo che non c’è niente di inatteso all’orizzonte, nessun ostacolo, le vele sono regolate bene, e possiamo dirci soddisfatti: “alla via così”.
Considerazioni social-filosofiche a parte, dal web arrivano storie nuove e interessanti di chi naviga davvero, spesso senza una meta precisa, e decide per vari motivi di condividere quello che fa con il popolo dei navigatori momentaneamente in secco utilizzando Facebook, Youtube, Instagram e tutta la gamma dei social media. Ne seguiamo diversi, qui in redazione, di questi naviganti social, e qualcosa dalle loro storie abbiamo imparato.
Ci sono Captain & Charlie, coppia mista – inglese lui, neo zelandese lei – che ad aprile 2015 ha trovato la barca adatta ai propri sogni e ha mollato tutto – casa, lavoro etc – per girovagare senza meta. Captain è nato nell’isola di Jersey, poco più di una roccia esposta alle correnti nel canale della Manica (che tecnicamente non fa neppure parte del Regno Unito, ma risponde direttamente alla Corona), e Charlie, come tutti i bambini neozelandesi, ha imparato ad andare a vela prima che a parlare. Portare la barca, quindi, non era un problema che si sono posti. Si sono invece posti il problema di cosa fare delle proprie vite, e hanno deciso che girare il mondo via mare era la loro priorità.
Per ora sono a spasso in Mediterraneo: la Francia del sud, la Corsica, la Sardegna, la Spagna. E documentano tutto come una sorta di fotoromanzo su Instagram e su un blog, pubblicando foto, descrizioni dei posti, suggerimenti su cosa vedere, trucchi per la sopravvivenza alle diverse tradizioni locali, sensazioni, storie di avventure e disavventure. Da bravi anglosassoni storpiano un po’ i nomi (chiamano Lavezzi “Levazzi”, e Bonifacio “Bonefacio”) ma non stiamo a guardare il capello: nel complesso il blog è utile e piacevole da leggere. Non sembrano avere problemi di soldi: riducono le spese, evitano i marina, curano la barca da soli per evitare riparazioni costose, ma non parlano di come mantenersi. La barca è un Dufour 385 Grand Large del 2005, e ha le caratteristiche che C&C ritenevano fondamentali: riesce a ospitare il metro e novanta di lui, era abbastanza economica e vicina a casa.
Ci sono anche Elayna e Riley, che sono più famosi per il nome della loro barca, La Vagabonde, un Beneteau Cyclades 43.4 comprato a Monopoli nel 2014 e ormai arrivato fino ai Caraibi meridionali dopo aver navigato il Mediterraneo in lungo e in largo, traversato l’oceano e praticamente tutti i Caraibi da nord a sud. La storia dei due ragazzi australiani è molto diversa da quella di C&C: per prima cosa Elayna e Riley non avevano idea di come si navigasse, praticamente non erano mai saliti su una barca. Il primo post di Riley sul blog si intitola “Come cavolo si rulla il fiocco?”… In secondo luogo i due ragazzi (molto giovani) hanno decisamente il problema di come finanziare il proprio giro del mondo, e il loro uso dei social è molto finalizzato a questo particolare non da poco: per raccogliere donazioni di appassionati, sostenitori, persone che avrebbero voluto fare quello che fanno loro, offrono in cambio uno sguardo in diretta sulla propria espereinza. Come? Principalmente pubblicando su Youtube gli episodi del proprio viaggio (molto carini, solo un po’ difficile da comprendere l’accento neozelandese, all’inizio…), ma anche mettendo a disposizione di tutti quello che hanno imparato sull’andare a vela. Hanno realizzato una sorta di “guida alla vela” gratuita e scaricabile, pubblicano decine di consigli, etc. Quando finiscono i soldi, si fermano, lavorano, poi continuano.
Storie diverse, che insegnano due cose fondamentali e forse un po’ inattese: per vivere su una barca girando il mondo non servono ne’ conti in Svizzera ne’ (udite udite) saper andare a vela. Quello che serve veramente è la voglia di farlo, e la disponibilità a mettersi in gioco in prima persona, quanto più possibile incuranti di chi sarà sempre pronto a criticare. Credete che a questi quattro ragazzi che vivono la vita che vogliono importi qualcosa se qualcuno, dalla banchina da cui raramente riesce a muoversi, gli dice che nei suoi 37 blasonati corsi di vela ha imparato qual è l’esatto angolo di regolazione del fiocco?