Al porto di Pietrogrado è mezzanotte, mezzanotte del ventinove settembre del 1922. La luna è alta, la sua gobba è ha ponente e promette salvezza.
In banchina il transatlantico Oberbürgermeister Haken (La nave dei filosofi) attende paziente il suo carico, prezioso per alcuni, i più lungimiranti, vile per altri.
“Sergheij Bulgagov.” Chiama il marinaio leggendo da un elenco. “Presente” risponde l’uomo.
La lunga lista continua, centosessanta tra uomini e donne occupano le loro cabine e l’Oberbürgermeister Haken molla gli ormeggi per iniziare la sua navigazione verso Stettino, oggi Polonia. Gran parte dell’intelighentia russa è “imballata” e spedita oltre confine. Un’altra parte subirà la stessa sorte imbarcandosi forzatamente nella Preussen qualche mese dopo.
Ha così inizio la deportazione di intellettuali russi ad opera di Lenin che, nell’agosto del 1922, annuncia dalle pagine del Pravda: “L’espulsione degli elementi controrivoluzionari e dell’intellighenzia borghese è il primo avvertimento del potere sovietico a questi elementi sociali”. I bolscevichi avendo capito l’importanza dell’istruzione nella creazione di una nuova società socialista, ne avviarono la riforma nel 1921. La riorganizzazione degli atenei causò malcontento e scatenò l’ondata dei cosiddetti “scioperi dei professori” che si inserirono in un quadro storico già difficile, iniziato nel 1917 con la rivoluzione Russa.
Oberbürgermeister Haken, ribattezzata inseguito da Glavaskij: La nave dei filosofi, arriverà a destinazione il primo ottobre. Uomini e donne sbarcheranno sul territorio tedesco senza aver più nulla, tutto sequestrato prima della partenza, ma finalmente liberi di pensare, di esprimere idee e di scrivere e pubblicare le proprie opere.
Intervistato Lev Trockij affermò: “Abbiamo espulso quelle persone perché non c’erano pretesti per fucilarle, ma non c’era nemmeno la possibilità di tollerarle”.
Ma si sa la storia si ripete e dalla stessa Russia, mutata ma non certamente cambiata, “salpano” ancora “le navi degli esiliati”.
“Non dovete preoccuparvi di nulla. La morte non c’è. La morte non è cosa nostra” fa dire Pasternak al suo Zivago.
“I regimi declinano e muoiono, il poeta, decapitato dalla storia, resta invitto.” Gli fa eco Brodskij.,
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Cara Sibilla, la rivoluzione di ottobre fu un grande laboratorio sociale e politico che si pose l'immane proposito di trasformare una intera società e una intera cultura. Molti artisti e "filosofi" abbracciarono gli ideali della rivoluzione e lavorarono per essa. Lo stesso Prokoviev modificò alcune sue opere quando il Partito gli fece notare che alcuni suoi lavori erano troppo difficili per un pubblico popolare. Certo, l'espulsione di uomini di cultura oggi ci fa inorridire, ma nel contesto storico e politico di allora ebbe un senso.