Se si facesse un sondaggio tra i velisti, chiedendo quali sono secondo loro le imbarcazioni a vela più belle mai disegnate in Italia, siamo sicuri che la maggioranza degli intervistati farebbe il nome di Umberto Felci. Pluripremiato progettista di meravigliose imbarcazioni e fondatore della Felci Yachts insieme al socio Lorenzo Giovannozzi, da oltre venticinque anni Umberto Felci disegna barche con passione ed energia, mantenendo una raffinatissima cura di ogni dettaglio che rende le sue imbarcazioni delle vere e proprie opere d’arte. Non a caso, il suo ricchissimo palmares vanta riconoscimenti d’eccellenza, tra cui svariati “Boat of the year” in numerose categorie per noti progetti come il Dufour 520 Grand Large e il Grand Soleil 58, solo per citarne alcuni.
La dedizione di Umberto Felci nel suo lavoro è straordinaria e soprattutto è da sempre concentrata esclusivamente sulle barche a vela: «Una fedeltà che rivendico ancora di più oggi – afferma l’architetto – che si parla tanto di motori ibridi, sostenibilità ed ecologia. Ma non c’è nulla di più ibrido ed ecologico di una barca a vela che si muove col vento». Per questo Felci, nonostante le tante richieste ricevute negli anni, è rimasto sempre fedele al suo primo amore: «La barca a vela è l’unico mezzo davvero sostenibile e, per ora, mi è difficile scollarmi da questa idea. Ciò non toglie che siamo aperti a studi e mercati nuovi come quello delle navette dislocanti a ridotta resistenza o i catamarani a motore, purché sia possibile trovare sempre un giusto rapporto tra efficienza e sostenibilità».
Umberto Felci, come è nata la sua passione per le barche a vela?
«Il fascino per le imbarcazioni mi accompagna sin dalla nascita. A dodici anni uscivo con qualsiasi mezzo navigante avessi a disposizione, finché non ho avuto la fortuna di possedere un 420 usato. La vela, nel periodo dell’adolescenza, ha significato per me avere una grande sensazione di libertà. Quando ero ragazzino andavo in mezzo al lago insieme a mio fratello e se insorgeva qualche problema, dovevamo arrangiarci da soli. Erano situazioni alle volte pericolose, perché non avevamo barche e allenatori di supporto, ma allo stesso tempo generavano una passione impareggiabile per la vela, il vento, il mare e la solitudine. Capire che con le proprie forze si possono dominare questi elementi per spostarsi a bordo di un’imbarcazione, mi ha portato a iscrivermi a un circolo velico e iniziare a fare regate fino ad arrivare a un’attività praticamente professionale con il 470 olimpico e in seguito a lavorare per il Moro di Venezia nella coppa America del 1992».
Cosa l’ha portata a diventare progettista di barche?
«Dopo il liceo mi sono iscritto alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano, dove sono riuscito a coniugare la mia passione per le barche a vela con quella per l’architettura. Grazie alla lungimiranza dei miei professori, gli architetti Piardi e Nardi, ho avuto l’opportunità di realizzare studi specifici e una tesi di laurea approfondendo il tema dei materiali compositi nelle realizzazioni nautiche, ai tempi quasi agli albori. È dopo essermi laureato e grazie a questo studio che sono entrato nell’ufficio tecnico del Moro di Venezia ed è stato in quell’epoca leggendaria che ho capito che nella vita avrei voluto progettare barche. La prima mi fu commissionata da un amico armatore che voleva una deriva in legno lamellare, così in un piccolo cantiere ho iniziato a realizzarla non solo a livello di progetto, ma anche a costruirla fisicamente, ampliando le mie conoscenze nelle realizzazioni in legno west-system. Poi insieme all’amico Marco Zancopé siamo riusciti a trovare alcuni sponsor tra cui la Montedison, interessata a fornirci e sperimentare nuovi tessuti pre-impregnati, e così nel 1993 ho firmato il primo prototipo Mini 650 italiano, con il quale all’esordio ci siamo piazzati terzi al campionato francese di classe. Da questo traguardo e dalle ottime prestazioni alle regate di preparazione alla Mini e alle potenzialità espresse durante la prima Transat, è iniziato il tam tam: la rivista Bateaux ci ha dedicato una copertina, sono arrivate altre commissioni e come spesso avviene in questo settore, una barca tira l’altra».
Dove trova la spinta per continuare a ispirarsi e a innovare il design nella nautica?
«La decisione più importante che ho preso nella mia carriera è stata quella di spostarmi dall’ambito delle regate a quello delle imbarcazioni da crociera. Questo lo devo soprattutto al mio socio Lorenzo, che ha avuto la visione di miscelare le nostre peculiarità di architetti navali, ingegneri fluidodinamici e appassionati di mare e di vita a bordo, intravedendo tra l’altro anche una potenzialità di un “pubblico” più ampio. Tutto questo mantenendo nel dna di Felci Yachts la spinta a progettare barche veloci e performanti oltre che comode. Un esempio è il progetto del primo Dufour 40, un’imbarcazione nata per la crociera pura, ma che qualche armatore ha deciso di usare per competere e ha straordinariamente vinto due mondiali IMS.
Resta il fatto che oggi ritengo una fortuna potermi concentrare non solo sulla velocità, ma anche sulla vita a bordo. Dalle barche da crociera ai fast cruiser, che oggi sono il nostro cavallo di battaglia, possiamo permetterci di rendere le imbarcazioni sempre più funzionali, comode e sicure, studiando gli interni fino al minimo dettaglio e ricercando il massimo dell’eleganza, e soprattutto unendo le prestazioni da racer allo stile delle barche più di tendenza».
Da progettista, qual è la qualità che i suoi clienti apprezzano di più?
«Non siamo i progettisti che si limitano a disegnare un’imbarcazione per poi disinteressarsi della fase costruttiva, lasciata ai cantieri. Spesso si sente dire che i progettisti “fanno due schizzi”, ma questo non è il caso di Felci Yachts. A noi piace sviscerare ogni aspetto delle imbarcazioni che disegniamo, in modo che a progetto terminato il cliente abbia un’idea completa, omogenea, definita e soprattutto costruibile, perché ogni nostro lavoro comprende anche la cosiddetta fase esecutiva».
Nel suo ricco palmares di premi e riconoscimenti, ce n’è qualcuno che le ha dato una particolare soddisfazione?
«Tutti i premi sono una soddisfazione ed è difficile sceglierne uno in particolare. Piuttosto, penso che la soddisfazione più grande non arrivi solo dal palmares bensì dal pubblico: una persona che vede entrare in rada una nostra barca, la riconosce, l’apprezza e nota la differenza rispetto agli altri scafi, rappresenta il giudizio più positivo che possiamo avere. Così come l’importante riscontro positivo del mercato, che ha portato per esempio la Dufour a produrre 400 barche all’anno o la Ice Yachts a vendere cinque 70 piedi dopo aver presentato il primo esemplare a Cannes».
Gli obiettivi futuri di Umberto Felci e Felci Yachts?
«In questo periodo stiamo esplorando dei concetti del tutto innovativi. È ancora presto per dire qualcosa di più concreto, ma posso anticipare che parallelamente agli yacht più tradizionali, che stiamo continuando a progettare, stiamo provando a creare una barca concettualmente diversa, pensando a un suo utilizzo più allargato e meno dedicato alla ristretta élite dei velisti. L’idea riguarda più taglie e consiste in una barca a vela più “trasversale”. Stiamo insomma pensando a una barca adatta a coloro che vorranno continuare a girare in mare senza avere particolare esperienza velica, arrivando magari dal settore del motore che rappresenta una grande bacino di potenziali nuovi armatori».