Se volete fare un complimento a un velista, ditegli che la sua barca ha le vele cattive. Con questa espressione non si suole indicare quelle velature tradizionali e candidamente bianche, ma quelle gialle d’invidia, o le più perverse grigio-celesti o addirittura quelle
sfacciate vele trasparenti che negli ultimi anni hanno caratterizzato la vela da corsa.
Noi abbiamo detto addio all’antico cotone verso i primi anni cinquanta e oggi anche il più tranquillo dei croceristi come me, quando entra in una veleria, deve immergersi nel mondo del dacron, del naylon, del mylar e del kevlar. Annuisci cordialmente a chi ti parla e poi ti affidi all’intuito quando ti complicano la vita con le misure che indicano la consistenza e il peso dei materiali che verranno utilizzati. A te e a me, compatrioti di Cristoforo Colombo, queste misure vengono comodamente espresse in once americane che, si badi bene, sono ovviamente calcolate su di un pezzo di tessuto che misura 28 pollici per 36. Elementare no ?!
Ora traduciamo nel nostro sistema metrico e ricaviamo, come avviene per la carta, che la vela da un’oncia ha un tessuto che
peserà circa 4O grammi per un metro quadrato di superficie. Per cui lo spinnaker in nylon da 1 oncia, adatto a venti medio forti, che abbia una superficie di 100 metri quadrati, peserà appena e aggiungerei soltanto quattro chili. Se il vento poi rinforza passeremo a un altro spinnaker, sempre di nylon, però da 2,2 once che, per la medesima superficie, peserà all’incirca dieci chilogrammi.
Un tempo gli spinnaker erano confezionati con la costosissima seta oppure con il più economico cotone, ma il bisogno di leggerezza di questa velatura ha imposto verso gli anni ’40 l’impiego del nylon.
Questa fibra però si adattava male agli altri tipi di vele a causa della sua notevole deformabilità. Il maggior progresso nella produzione dei tessuti per le vele avvenne nel 1953, quando venne scoperto il dacron che ha immediatamente sostituito il cotone poiché questa nuovissima fibra poliestere non si allungava, non assorbiva l’acqua e soprattutto non marciva. Questo è attualmente il tessuto più diffuso per la confezione delle vele, affermatosi dopo i primi successi ottenuti nella regata del Fastnet del ’55 e soprattutto quando, dieci anni dopo, l’industriale americano Ted Hood è riuscito a fabbricare un prodotto “molto” migliore di quello che allora era reperibile sul mercato. Il kevlar, la fibra artificiale realizzata dalla Dupont americana, è stato inventato durante le ricerche per nuovi materiali che erano state effettuate per migliorare i pneumatici, ma nella pratica odierna esso viene impiegato anche per confezionare i giubbetti antiproiettile, oppure per le carrozzerie delle auto da corsa e ovviamente per rinforzare gli scafi delle barche.
Per realizzare le vele lo si è iniziato a utilizzare a metà degli anni ’70 e ha avuto il suo apice di notorietà soprattutto nella Coppa America del 1980. Sulla base del fatto che una vela di kevlar costi sempre più del doppio di una di dacron, la maggior parte delle classi monotipo hanno categoricamente vietato l’uso di questo materiale per le loro vele.
Ed è per questo motivo che un tessuto rinforzato con una lamina di poliestere si è ormai affermato e oggi il suo costo non supera di molto quello del dacron. Questa lamina, che viene prodotta anch’essa dalla Dupont, è meglio conosciuta sul mercato con il nome di mylar e viene incollata fra due strati di tessuto mantenendo in questo modo le caratteristiche di rigidità e di leggerezza insieme.
Le vele vengono sempre più spesso prodotte combinando il mylar con il kevlar o con il dacron, il kevlar con il dacron, o addirittura tutti e tre i materiali assieme: ciò significa che il taglio delle vele e la disposizione dei ferzi non segue più lo schema convenzionale e la loro forma viene determinata dal computer attraverso specifici programmi.
Le vele (per noi peones del mare) devono durare più a lungo è possibile, se non altro per ragioni economiche, e devono ovviamente essere in buone condizioni per reggere allo sforzo del vento. Il tessuto di kevlar è migliorato ma, per la sua rigidità
intrinseca, è ancora soggetto a rotture improvvise. Il dacron e il naylon sono più durevoli, non marciscono, ma le vele realizzate con questi tessuti temono molto i raggi ultravioletti del sole, per cui è preferibile proteggerle poiché, quando restano inferite sugli avvolgifiocchi oppure ripiegate sul boma, espongono al sole sempre la stessa parte di superficie e si rovinano.
Effettivamente le vele costano un bel po’, sono care, e perciò vanno mantenute e direi quasi coccolate con lo stesso impegno con il quale si cura il motore sia della barca che dell’automobile. Se ci pensiamo bene sono le vele il vero, inesauribile ed efficace propulsore della vostra imbarcazione. Se poi ci riflettete sarete d’accordo che: il vento talvolta tradisce, le vele mai e i motori molto spesso.
Buon vento.