Nella prima parte della nostra inchiesta abbiamo visto che la situazione di Fiumara Grande, con la sua imboccatura ormai resa permanentemente pericolosa dall’insabbiamento, rappresenta il tipico paradosso italiano.
Tutti sanno che stiamo parlando del più grande porto del Tirreno, di un distretto nautico con centinaia di posti di lavoro e di attività commerciali e produttive, ma pare che questo non sia sufficiente a fare eseguire regolarmente interventi di manutenzione per rendere sicuri l’acceso e l’uscita.
Se a 48 ore dalla richiesta formale di informazioni alla segreteria del Comando della Guardia Costiera di Roma, circa le responsabilità relative alla sicurezza sul fiume e alla foce, non abbiamo ancora ricevuto risposta, alla Regione Lazio non hanno dubbi. Per bocca del geometra Di Rocco che per l’Ardis, l’Agenzia Regionale Difesa del Suolo, si occupa delle opere di manutenzione del Tevere, veniamo a sapere che sulla Foce è la Guardia Costiera che deve disporre le attività di manutenzione e ad autorizzare gli interventi.
Insomma l’Ardis si occupa del fiume, ma non della foce? Parrebbe che sia così. Ma anche quando la Regione interviene, come ad esempio l’ultima volta in dicembre, a dragare le acque del fiume, non tutti sono convinti che le cose siano fatte a regola d’arte.
“Hanno tolto la sabbia fra il ponte della Scafa e l’isola di Tor Boacciana – ci hanno ripetuto in molti fra chi lavora sul fiume – e l’hanno rigettata a valle dell’isola. Che senso ha?”. Nessuno, anzi se è così è possibile che questi movimenti abbiano contribuito a insabbiare ancora di più l’imboccatura in un anno in cui di piogge e quindi di trasporti a valle di detriti, ce ne sono state pochissime o quasi nulla.
Ma davvero hanno dragato spostando semplicemente la sabbia di qualche centinaio di metri? Si, e la conferma viene proprio dall’Ardis che ha commissionato il lavoro, dove negano però che questo spostamento di sabbia da un punto all’altro sia la causa del problema: “E’ vero che abbiamo fatto questa operazione, ma tutto il materiale dragato a monte dell’isola è stato rigettato a valle in una fossa profonda 12 metri”, ci dice il geometra Di Rocco.
Ma se le cause del progressivo insabbiamento, naturali, come è probabile, o anche frutto di qualche errore, sono importanti non fosse altro per cercare, se possibile, di evitarle ma soprattutto per porvi rimedio, il punto centrale resta sempre lo stesso: chi deve intervenire a rendere sicura la foce? Perché non accade nulla?
“Noi siamo sicuramente vittime di questo stato di cose – si sfoga il presidente del Circolo Velico di Fiumicino, Franco Quadrana – perché ci troviamo a dovere annullare eventi sportivi quando le condizioni per svolgerli sono perfette. La foce è ovvio che deve subire manutenzione, in modo periodico, programmato, non lasciando il tutto a fatti episodici, magari come una forte piena che si porti via tutto. Posto poi che una piena oggi, con la foce ridotta in queste condizioni, non sia più pericolosa per gli argini e la città”.
L’assenza di risposte è quanto dice di avere trovato anche il professor Paolo De Girolamo. Ingegnere, professore di Costruzioni Marittime all’Università la Sapienza di Roma, esperto internazionale di moto ondoso (anche il Giappone, paese a forte rischio Tsunami, lo ha consultato nelle elaborazioni dei piani di emergenza) è anche un marinaio di una certa esperienza, con navigazioni impegnative alle spalle. Quando parla riesce anche a dismettere i panni dell’accademico per infilarsi in una cerata.
Ed è al suo dipartimento che la Regione si è rivolta per chiedere un aggiornamento sulla situazione dei porti minori del Lazio.
“E Fiumara è stato censito come approdo turistico?”
“Certamente – spiega De Girolamo – e secondo i nostri dati si tratta del porto turistico più grande del Mediterraneo. Noi abbiamo fatto il nostro lavoro chiedendo una serie di informazioni anche di carattere amministrativo: qual è il piano degli ormeggi, chi dà le concessioni e secondo quali criteri, chi sono i referenti per le diverse attività. Di risposte neanche una”.
In questa situazione di indeterminatezza, dove anche i massimi esperti in opere portuali si scontrano con i muri di gomma quando si tratta di avere nel dettaglio la situazione amministrativa di Fiumara Grande, il Tevere continua ad ammalarsi.
“Non ci sono solo problemi di sicurezza – ci racconta Giulio Giua, naturalista e marinaio, impegnato in campagne con l’omologo francese della Goletta Verde, e persona che sul fiume ci è nato e ci vive. Il Tevere entra a Roma pulito e arriva qui alla foce con gli scarichi che la città gli riversa dentro. Fra le barche si accumula di tutto, poi finisce tutto in mare. La Regione spende soldi per finanziare la raccolta dei rifiuti dalle spiagge, ma così non si risolve nulla”. Si deve intervenire in quegli insediamenti abusivi noti e individuati che generano la gran parte di questa montagna di rifiuti”.
Questo è il quadro desolante. In attesa di qualche provvedimento che renda permanentemente sicura l’imboccatura del più importante porto della Capitale, si spera nelle piogge e in una piena contenuta, non disastrosa ma utile a spingere via la barra. Come 2000 anni fa insomma.
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Se quanto descritto corrisponde a verità, si può spiegare molto bene come improvvisamente, a partire dai primi di gennaio 2016, decine di barche con pescaggio non superiore ai 2 metri abbiano iniziato ad incagliare nella zona della barra diritto sul canale seggnalato dai fanali posti all'ingresso, laddove prima si passava anche se con tolleranze veramene minime.
Quindi non solo non si draga, ma quando lo si fa probabilmente si peggiora la situazione perchè si muovono grandi quantitativi dal fondale che, tutti o in parte, si andranno poi ad accumulare contro il dosso esistente all'uscita dove si forma la famigerata 'barra'.
Dove abbiano trovato, sul fiume, una 'buca di 12 mt', saremmo tutti molto curiosi di saperlo, visto che il fiume nel tratto finale non ha fondali superiori ai 4-5mt!
L'unica garanzia che probabilemente hanno raggiunto i lavori effettuati, è che la sabbia ed i fanghi non tornino indietro!
Pazienza se a farne le spese possano essere i cantieri a valle e la foce.
Ma anche questo modo di intervenire potrebbe avere una sua ragione, visto che sembra che i fanghi del fiume debbano essere smaltiti e non possano essere rigettati a mare, con spese conseguenti. E allora ridiamoli al fiume, che se la veda lui!
E' un altro dei titpici paradossi italiani, considerando soprattutto che le barche, a qualsiasi uso siano destinate, garantiscono un indotto di lavoro considerevole e fanno girare l'economia.
Ma questo sembra interessare poco a chi ci 'amministra'.
per amore della verità', le colpe sono di tutti e tutto va in malora. quando al dragaggio della foce pensavano i concessionari, che venivano rimborsati, le fatture alla regione lievitavano in modo abnorme. Concessioni sempre ai soliti senza gare. Più' che un fiume sembra una discarica. Legalita' ai limiti e spesso oltre. Ognuno ha preso il massimo senza mai preoccuparsi del futuro e del fiume. In altri paesi sarebbe un'oasi di bellezza. Ormeggi in quarta e quinta fila. I risultati sono davanti agli occhi di tutti. TUTTI tengono famiglia, a cominciare da chi dovrebbe far rispettare regole e leggi.