Una piccola – grande rivoluzione nel mondo dei battelli pneumatici. L’idea è venuta ad una coppia di soci bergamaschi che nel mondo della nautica, e soprattutto quello dei gommoni, ci sono da molto tempo, dal 1995, e ai più sono noti col marchio di Teconautica. Ma da un paio di anni Ezio Agazzi e Giulio Sottocornola hanno avuto la coraggiosa e intelligente idea di proporre qualcosa sul mercato che ancora non esisteva: il gommone in alluminio.
“Intediamoci – ci ha detto Agazzi – le nostre barche devono restare dei veri gommoni: scafo e coperta sono i alluminio, ma i tubolari sono dei “veri” tubolari, sfiorano l’acqua quando il battello è fermo e garantiscono una bella stabilità statica. Quando si è in movimento interagiscono in maniera corretta con la carena“. I due soci di LTN di gommoni ne sanno, e anche parecchio, e sono molto orgogliosi del loro progetto: “Abbiamo voluto fare barche marine, che navigassero bene anche con mare formato. Barche serie, come costruzione, come design e come linee d’acqua“.
Per farlo hanno trovato un’ottima intesa con un giovane e brillante progettista sardo, Alessandro Chessa di Akes Design: “Ci siamo capiti subito – ha detto ancora Agazzi – noi siamo partiti dandogli delle indicazioni base su come volevamo la barca, indicazioni che partono dalla nostra ventennale esperienza non solo come costruttori di gommoni, ma anche di utilizzatori veri, per tutto l’anno. e Le nostre visioni hanno coinciso da subito, lavorare con Alessandro è stato un piacere“.
Dicevamo di una rivoluzione, in effetti i gommoni in alluminio non esistono, o quasi. C’è qualche modello in Nor Europa, ma sono imbarcazioni ben diverse, con la coperta in vetroresina, battelli molto meno sofisticati. La domanda sorge allora spontanea, ma perché farli in alluminio: ” Per più motivi – ci ha detto sempre Agazzi – prima di tutto perché ritenevamo che il mercato fosse pronto per qualcosa di veramente nuovo. I gommoni spesso si assomigliano tutti tra di loro, era ora di far qualcosa di veramente innovativo. In secondo luogo l’alluminio mette in mostra caratteristiche fisiche e meccaniche che rendono i gommoni più leggeri , circa il 30%, più robusti, più rigidi. In più, in fase di costruzione hanno anche altri grandi vantaggi: non richiedono lo stampo – si riducono i costi e possiamo fare modelli assolutamente personalizzati – e in più si possono fare elementi a bordo tagliati sottosquadra, quindi con angoli negativi“. Che vantaggi comporta? “Maggiore personalizzazione e la possibilità di fare, ad esempio, mobili o divani più stretti in basso e che si allargano in alto: questo significa più superficie calpestabile a parità di superficie superiore sul mobile“.
Nel listino di LTN ci sono due gamme, una in VTR, che comprende due modelli, il 18 e il 21, e l’Aluminium Series che conta per ora sul 26 Venom che abbiamo appena provato, spinto da un Suzuki 250 (e il cui test super dettagliato pubblicheremo nei prossimi giorni) e l’ammiraglia, il 34 Diamond, che arriverà al Salone di Genova con a poppa una coppia di Suzuki da 300 HP.
Spesso in Italia le imbarcazioni alluminio sono legate all’idea di barche da lavoro, grezze e robuste…? “I nostri battelli sino certamente robusti ma, tutt’altro che grezzi, anzi. Abbiamo un’attenzione maniacale al dettaglio, tutto deve essere perfetto, ci rivolgiamo ad armatori evoluti, che vogliono barche di alto livello“.
Ci fa qualche esempio?: “Intanto sono costruiti in alluminio 5083, il meglio che c’è per la resistenza in acqua marine. La verniciatura è multistrato, super professionale, molto costosa ma necessaria per avere la qualità che vogliamo. E poi ci sono un’infinità di altri dettagli come la verniciatura dell’interno dei gavoni con prodotti a base di porcellana per evitare che ci sia l’aumento di rumorosità che a volte l’alluminio comporta, oppure ci sono guarnizioni ovunque e tutti i cablaggi sono protetti, fasciati e intubati“.
Un altro luogo comune da superare è forse che, a causa delle corrosioni galvaniche, le barche in alluminio sono difficili da manutenere? “Viste proprio tutte le attenzioni costruttive di cui dicevo prima, non c’è nulla da temere. Unica attenzione, come accade per i motori, bisogna avere gli anodi sacrificali. Sono a poppa e sono da cambiare esattamente come quelli dei fuoribordo”.
Tutta questa qualità costa molto? “Direi proprio di no. All’interno dei principi base del nostro progetto c’è proprio quello di proporre barche di alto livello, ma prezzi competitivi. Non a caso il 26 Venom, già con una dotazione di optional quasi completa, costa 70.866 Euro Iva esclusa, già accoppiato con il Suzuki 250“.
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