Massimo Guardigli, una vita per la nautica

Massimo Guardigli è uno di quegli uomini che hanno dedicato la propria vita alla nautica, ottenendo grandi successi e soddisfazioni. Da giovane progettista, Massimo Guardigli ha vinto svariate competizioni nazionali e internazionali negli anni ottanta e novanta, che gli hanno permesso insieme alla moglie Flavia di acquistare un marchio storico e apprezzato come Comar Yachts, dandogli un nuovo corso. Prima con i Comet e poi con tuffandosi nel mondo dei catamarani, Guardigli ha rinnovato la produzione nautica del cantiere forlivese, portandolo a una straordinaria evoluzione che ha ottenuto l’approvazione da parte del pubblico. Per questo, un’intervista a Massimo Guardigli non poteva mancare nella nostra serie “I protagonisti della nautica”.

Massimo Guardigli, come è iniziata la sua passione per il mare e l’interesse per la nautica?

«Il mio rapporto con la nautica è iniziato per caso, frequentando da bambino una scuola di vela al laghetto dell’Eur a Roma, che oggi è diventata una specie di pozza nella capitale, ma ai miei tempi era una scuola federale di altissimo livello con istruttori molto preparati. A nove anni ho preso il mio primo brevetto e ho iniziato a fare le prime regatine con le derive e i 470, e a tredici anni sono passato a barche a vela più grandi e professionali. Mentre frequentavo l’università alla Luiss ho avviato le prime esperienze lavorative nell’ambito commerciale del surf e a ventuno anni mi sono trovato con sette negozi; parallelamente ho cominciato a realizzare i primi prototipi di barche con cui a partire dal 1982 ho vinto vari campionati italiani. Grazie a questi successi ho potuto acquistare il marchio Comar e iniziare a costruire barche per creare una nuova era di questo brand, grazie soprattutto ai nostri progettisti di riferimento, Vallicelli e Sergio Lupoli, che realizzavano rispettivamente le barche più grandi e quelle più piccole, ma mantenendo sempre un certo spirito sportivo che ci ha permesso di tagliare altri traguardi».

Ce n’è qualcuno che ricorda con particolare soddisfazione?

«Nel 2008, al campionato italiano di Punta Ala, sui due podi di classe regata e classe crociera, cinque su sei barche erano mie: è stato un momento magico ed entusiasmante. Ma non ci siamo mai montati la testa; anzi abbiamo sempre cercato di mantenere un rapporto diretto e familiare con il pubblico».

Perché ha deciso di entrare nel mondo dei catamarani?

«Con la crisi economica del 2008 che ha messo in difficoltà il mondo della nautica, sembrava che il settore non si potesse più riprendere. Molti cantieri piccoli hanno chiuso per sempre, altri più grandi e strutturati hanno invece potuto giocare in difesa e sono riusciti a resistere, ma si è trattato di dieci anni molto difficili per tutti. La mia reazione, allora, è stata quella di buttarmi in qualcosa di nuovo: in seguito ad alcune analisi ho notato che l’unico comparto della nautica che non aveva subito nessuna riduzione di fatturato a causa della crisi era quello del catamarano, per cui, grazie al supporto di mia moglie che ha continuato a mandare avanti il cantiere Comar, ho iniziato a occuparmi dello studio di prototipi di catamarani e della loro commercializzazione e marketing. Si è trattato di una scelta di successo, dal momento che il catamarano oggi è diventato il nostro core business, pur continuando a produrre i Comet anche se in misura minore. In sostanza abbiamo creato una sorta di cruiser del catamarano, quindi una barca comoda e sicura che non facesse rimpiangere troppo il monoscafo, ma anzi lo superasse: a bordo del nostro primo modello, quello da 37 piedi, si poteva fare una mangiata di pesce in mezzo alla burrasca senza che cadesse niente dal tavolo, e si parla di dimensioni ancora abbastanza contenute. Quell’esperimento, insomma, è andato bene e in seguito ci siamo buttati anche nelle regate, con lo stesso successo».

Quali sono le differenze nel progettare catamarani rispetto ai monoscafi?

«Il catamarano è un’attività molto più impegnativa rispetto al monoscafo, che è un prodotto più evoluto e utilizzato dalla massa. Il catamarano, invece, ha ancora tanti margini per evolversi e la strada è ancora da battere. La nostra scelta è stata quella di realizzare barche leggere e ben fatte senza strafare, ovvero senza andare su costi iperbolici, altrimenti sono capaci tutti..! Ma la chiave del successo è trovare il mix giusto tra costi ragionevoli e performance pazzesche; e per farlo, dal momento che all’inizio avevo molte incertezze, ho avuto l’intuizione di affidarmi a Marc Lombard, il guru dei catamarani. Grazie alla collaborazione con lui, ho iniziato ad assumere maggiore sicurezza sulla parte progettuale e ingegneristica, fino ad arrivare a fare tutto i cantiere, interni compresi».

Guardando al futuro, cosa dobbiamo aspettarci dal mondo della nautica e soprattutto dai catamarani, visto che in generale le dimensioni delle imbarcazioni tendono ad aumentare?

«La tendenza delle dimensioni sempre maggiori è irreversibile, soprattutto in Italia, dove piacciono il lusso e la comodità. Il mercato sta andando in questa direzione – noi compresi, che siamo producendo un catamarano da 62 piedi – ma in fondo penso che si tratti di un errore. La barca piccola, infatti, è un oggetto godibilissimo con cui divertirsi e fare vacanze meravigliose. Tuttavia, nel nostro paese il problema è che non abbiamo una vera e propria produzione industriale, soprattutto per le barche a vela: abbiamo invece cantieri di eccellenza che producono poche imbarcazioni, e di dimensioni sempre maggiori come i super yachts. Se però guardiamo alla Francia, possiamo vedere come i cantieri stiano riaprendo le serie di barche più piccole, e si tratta di un’avvisaglia che a mio parere non è da sottovalutare: immagino che i nostri cugini abbiano informazioni e ricerche di mercato che facciano dedurre come il mercato delle barche piccole esploderà nei prossimi anni, e mi auguro che sia così. La barca piccola, infatti, fa da ponte verso la barca grande, e non è solo lusso, ma anche sport e divertimento».

Alessandro Giuzio


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Alessandro Giuzio

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