Quando Alì mi fece cenno che, se volevo, potevo prendere io il timone, mi sono preoccupato soprattutto di afferrarlo dove ritenevo che lui non lo avesse toccato con i piedi. Perciò mi sono alzato sulla coperta di poppa e per imitarlo mantenevo la barra tra le caviglie e aggiustavo la rotta anch’io con il piede, o meglio, nel mio caso, con la scarpa. Alì invece manovrava scalzo la sua Feluca mentre si accingeva ad attraversare il Nilo per trasferire un gruppetto di turisti, me compreso, dietro l’isola Elefantina a visitare l’orto botanico di Asswan.
Mi ero preparato a questo scampolo di navigazione con largo anticipo poiché, senza alcun extra, la gita in Feluca era stata inserita fin dall’inizio nel programma del viaggio in Egitto. Ed ecco che finalmente era giunto il momento che avevo tanto atteso.
Alì gesticola dolcemente e mi consiglia di sedere, concedendomi il comando dell’imbarcazione che stava trasportando ben diciotto passeggeri. Uauh! Il vento si fa più teso e la lunga asta che sorregge la vela latina, scalcinata e con le toppe, incomincia a vibrare, mentre lo scafo s’inclina dolcemente sotto il vento. I miei compagni di viaggio, cioè il mio clan, erano tranquilli e partecipavano alla mia gioia; gli altri passeggeri, occasionali compagni di viaggio, palesemente non avvezzi alla navigazione a vela, mascheravano la loro perplessità con alcune battute banali; Alì, non potendo comunicare a parole, intuì la situazione e mi confortò con un sorriso di consenso.
La Feluca del Nilo è un’imbarcazione tradizionale mediterranea, rigorosamente tutta in legno, con una lunghezza variabile dai sette, otto metri fino a oltre quindici metri e viene sempre armata con due alberi con la vela latina. Se paragoniamo questa barca di origine araba ad altre simili europee, la caratteristica più saliente la si coglie nell’antenna che nella Feluca del Nilo è costituita da un unico palo che dal basso si va rastremando verso l’alto, mentre per esempio nel Leudo genovese o nei piccoli pescherecci provenzali l’antenna è frazionata in più parti sormontate parzialmente e congiunte fra di loro.
Le prime testimonianze di questo tipo di armamento velico risalgono al X secolo ma se ne ignora l’esatto periodo di origine e provenienza. Forse la derivazione del nome dai termini della marineria araba come felouket, filuka, felouka, lasciano presupporre un’antica discendenza poiché felouka appunto era chiamata anche un’imbarcazione fluviale usata in Mesopotamia.
Da noi, in Italia, la Feluca era conosciuta invece come un’imbarcazione di rappresentanza che, nei primi anni del settecento, veniva usata in particolari cerimonie in cui l’armo sfilava “a remi” al seguito di processioni o altri riti marinari.
Un pregevole esemplare è ancora oggi conservato nel Museo della Marina Militare a Venezia ed è appartenuto alla famiglia napoletana dei Mezzacapo di Monterosso, che l’hanno utilizzato per l’ultima volta nel 1923 nel mare di Amalfi, durante i festeggiamenti per il Congresso Eucaristico di quell’anno.
Appare comunque certo che la feluca fondamentalmente, nell’epoca in cui compaiono su di essa le prime notizie storiche, era un’imbarcazione di commercio usata per il trasporto di merci e passeggeri.
La “mia” Feluca, cioè quella di Alì, apparteneva senz’altro a questa categoria e insieme ad altre centinaia che affollano ancora oggi il corso del Nilo, assolve allo scopo di trasportare con la sola forza del vento i viaggiatori, anche indigeni, da un punto all’altro del fiume.
Anche se con difficoltà stringe il vento e fila bene solo al traverso e di poppa, allorché viene issata la deriva per aumentarne la velocità, la Feluca del Nilo si presta meravigliosamente alla navigazione interna, rispettosa dell’ambiente e molto facile da condurre.
Una gita in Feluca nella laguna di Venezia ? Perché no, approfitteremmo dei moltissimi Alì che sono già arrivati qui da noi! Buon vento.