I tesori riemersi dal piroscafo Arabia

Qualche giorno fa vi abbiamo parlato del problema dei container dispersi in mare e di come rappresentino l’incubo numero uno per chi naviga. Probabilmente il secondo posto di questo triste podio è occupato dai tronchi galleggianti, portati al mare dai fiumi in piena. La storia del piroscafo Arabia ci insegna che il problema dei tronchi esisteva già quando i container non erano ancora stati inventati, e che qualcosa, molto più di quanto ci si aspetti, può comunque sopravvivere.

L’Arabia era un battello a vapore, carico di oltre 200 tonnellate di cibo e scorte varie, che nel 1856 partì da Kansas City per uno dei tanti viaggi di routine lungo il fiume Missouri con lo scopo di rifornire le cittadine della frontiera del West. L’impatto con il tronco che galleggiava fu inatteso e devastante: lo scafo si bucò, e il piroscafo affondò immediatamente, per fortuna lasciando il tempo ai passeggeri di nuotare a riva e salvarsi. La forza del fango e del fiume seppellirono l’Arabia in men che non si dica, e il piroscafo rimase dimenticato per anni, fino al 1987, quando una famiglia della zona si lasciò ispirare dalla storia e decise di ritrovarlo.

Non solo si dovettero studiare le carte e usare strumenti sofisticati per individuare il relitto sepolto dal fango, ma le cose dovettero essere fatte anche in fretta, perchè i proprietari del terreno sotto il quale giaceva l’Arabia avevano concesso il permesso di portare avanti le ricerche solo finchè non fosse arrivato il momento di seminare… Il lavoro di scavo fu notevole: si dovette trasportare sul luogo, via terra e via acqua, una gru da 100 tonnellate; 20 pompe furono installate per evitare l’allagamento e dei pozzi di oltre 20 metri furono impiegati per rimuovere 76.000 litri d’acqua al minuto.

Nascosti da 15 metri di terra, cominciarono a riemergere i pezzi: la grande pala a vapore, una scarpa, un servizio di tazze. Quello che colpì immediatamente fu lo stato di conservazione dei vari ritrovamenti: perfetti. Le tazze avevano ancora le finiture colorate, i bottoni delle giacche erano integri, i cappelli e i vestiti di lana come nuovi. L’assenza di aria aveva impedito che i materiali si decomponessero e aveva preservato tutto perfettamente. Proprio tutto, compreso il cibo. Gli operai impegnati nel recupero dicono di aver assaggiato i sottaceti da alcune delle numerose bottiglie ritrovate: non solo erano ancora commestibili, avevano anche mantenuto il gusto…

 

 

Sara Teghini

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