C’è un pezzo di pianura Padana, stretta fra il fiume Oglio e il Serio, segnata da una vocazione per le barche e una storia di oltre mezzo secolo è li che ce la racconta.
Perché in questa parte di profondo Nord che è la provincia di Cremona, in un paese di poche centinaia di anime, nel 1956 nacque l’Alpa, l’Azienda Lavorazioni Plastica e Affini, affermandosi in pochi anni come fra le più importanti industrie nautiche italiane mettendo in acqua miglia di barche, le più famose delle quali sono probabilmente l’Alpa 9,50 e 11,50. Soprattutto, da qui nacquero e iniziarono a crescere generazioni di maestranze capaci, di maestri d’ascia e laminatori, carpentieri e falegnami che disegnarono il volto di un artigianato specializzato di altissimo profilo.
Una storia che fra alti e bassi non si è mai interrotta. Forse attraverso il reticolo di canali che segnano come rughe questa terra, i saperi si sono tramandati e espansi alimentando piccoli e grandi realtà dell’artigianato e dell’industria nautica. Fino al 2012, quando a pochi chilometri da Offanengo, a Salvirola, è nato Ice Yachts, una realtà in cui gli aspetti industriali, l’uso delle tecnologie e i tradizionali gesti dell’artigiano si sono fusi per dare vita a una realtà profondamente italiana con un mercato quasi tutto estero.
Ice Yachts, dicevamo, nasce cinque anni fa sull’impronta lasciata da un altro storico cantiere della zona, il CN Yacht 2000 da cui assorbe le figure specializzate alle quali affianca nuove forze. A guidare questa nuova nascita c’è Marco Malgara, che raccoglie attorno a se professionisti di diversa provenienza lavorativa con una grande passione in comune per le innovazioni e per i materiali innovativi in particolare.
Nei capannoni di Ice Yachts, si crea da subito una sorta di elettrizzante miscela. Malgara ha un obiettivo preciso, quello di alimentare e mantenere vive le competenze della passata esperienza e innestarle nella sua visione del futuro. In quei capannoni sono stati realizzati progetti scaturiti dalle matite di Vallicelli, Felci e dello Studio Starkel. Operai e tecnici hanno realizzato scafi di tutte le misure, dai Lobster agli Uldb per arrivare al Grand Soleil 70.
Un patrimonio di conoscenze e di “saper fare” artigianale che si rivitalizza sotto la spinta di una visione innovativa. Nasce in questo modo il progetto Ice Yachts. Che viene subito tradotto in barche dalla personalità fortissima.
“Noi abbiamo fatto una scelta precisa – ci spiega Marco Malgara, amministratore unico della società – ed è quella dell’italianità. Per noi produrre tutto internamente è un valore e una garanzia per l’armatore che cerca qualcosa di unico”.
Milanese, sposato e padre di due ragazzi, Malgara è un imprenditore che approda alla nautica da altri settori professionali grazie a una passione viscerale per la vela ed a un innamoramento folgorante per le barche che uscivano dal CN Yacht 2000. “Volevo una barca proprio di quel cantiere – racconta mentre ci accompagna nella zona della laminazione – e alla fine ho deciso di investire e ho rilevato l’intero cantiere”.
Dal quel momento, era il 2012, viene tracciato il solco in cui si inserisce la nuova produzione: barche fortemente personalizzate, forte uso di carbonio, massima cura di tutti i processi produttivi totalmente interni e, cosa fondamentale, scelta della matita incaricata di disegnare il volto degli scafi Ice Yachts, Umberto Felci.
Felci definisce delle linee molto sportive, in cui l’uso del carbonio possa trovare la sua massima ragione di utilizzo. Perché Malgara è convinto che materiali e tecnologie innovative abbiano un senso se coerentemente applicate a un progetto che ne sappia esaltare tutte le potenzialità. Le carene delle barche Ice Yachts sono potenti, hanno linee sportive, ma sanno anche accogliere volumi adattabili alle esigenze di armatori profondamente diversi.
“Per noi la personalizzazione in favore delle esigenze del cliente – ci spiega Marco Malgara – è una chiave di interpretazione del nostro modo di produrre. A volte si deve essere capaci di dire di no, ammettere che ” questa cosa che chiede il cliente è impraticabile”. Ma si deve anche sapere ascoltare e capire. E a volte nascono sfide che poi producono scelte innovative, idee che funzionano e che poi possono essere applicate al resto della produzione”.
Ed è in questa attitudine verso le innovazioni che si innesta il processo produttivo.
“Per rendere custom il nostro prodotto – ci spiega Roberto Marchesi, direttore di produzione e punto di snodo fra progettista, ufficio tecnico e operai – e lavorare con materiali come il carbonio dobbiamo necessariamente avere un doppio appoggio, quello della lavorazione a mano, artigianale, e quello della capacità di utilizzo di materiali come il carbonio”.
Ed è in questa attitudine verso le innovazioni che si innesta il processo produttivo.
Lo scafo viene laminato con strati di tessuto in carbonio quadriassale. E’ una straificazione realizzata a mano, in cui i gesti sono ripetuti con una precisione estrema.
Quindi è la volta delle strutture di rinforzo. Un ragno di madieri e longheroni, ossia quell’ossatura che percorre internamente la barca in senso longitudinale e trasversale, viene fazzolettata allo scafo. E’ l’opera che rinforza e conferisce rigidità al manufatto. Un’operazione realizzata a mano a seguito di calcoli precisi su spessori e posizionamento delle parti di rinforzo.
E’ in questa fase e in quella di realizzazione degli impianti, che il connubio fra capacità artigianali e i sofisticati sistemi di progettazione, trova la sua massima espressione. Tutto deve essere previsto e definito prima dell’intervento manuale dell’uomo.
Con lo stesso procedimento si realizza la coperta che viene laminata nel suo stampo. Una volta che le due parti sono pronte, scafo e coperta vengono assemblati e si chiude la barca che finisce sotto una “coperta” termica dove a una temperatura di 60 gradi si conclude il processo di fabbricazione dello scafo con la resina epossidica.
Inizia ora la fase di installazione degli arredi. A differenza di quanto accade nella grande produzione industriale di barche, dove ogni scafo si sposta lungo una linea di produzione senza coperta per essere completato, qui è una squadra di artigiani specializzati a prendere possesso della barca, a penetrarvi all’interno e iniziare le opere di arredamento.
Falegnami, impiantisti, carpentieri, si alternano e lavorano insieme per costruire l’anima degli Ice Yachts utilizzando componenti in legno, carbonio o vetroresina, tutti realizzati all’interno del cantiere.
In quattro anni, dal 2012 al 2016, sono state costruite in questo modo 19 barche. Oggi sono in produzione 7 scafi: un nuovo 60 piedi, che sarà leggermente più lungo del 62, tre 52 piedi, un 33 piedi race e due catamarani da 61 piedi. Tutti i monoscafi sono progettati da Umberto Felci mentre i catamarani dallo studio Cirillo-Contreas. E a maggio, partirà la produzione di un 82 e di un 72 piedi che l’armatore vuole trasformare da race puro in un crusicer/race.
I catamarani hanno aperto di recente un nuovo capitolo. In Ice Yachts sono convinti che i numeri parlino chiaro: oggi, ci dicono, il 40% del mercato nautico è fatto di multiscafi. Ecco quindi la scelta di ampliare la produzione in questa direzione. Sono già stati veduti un 61 e un 67 piedi e ora è stato commissionato un secondo 61 piedi.
E ai catamarani sarà completamente dedicata una nuova struttura, uno stabilimento attualmente in costruzione sul Po, in cui saranno realizzati solo i multiscafi. Anche perché, nel capannone di Salvirola, il catamarano in costruzione ci sta, ma no può uscire e per consegnarlo dovranno abbattere una parete.
Salvirola, provincia di Cremona, è vero, ma anche crocevia internazionale. Perché a scorrere l’elenco dei clienti che arrivano in questo spicchio di Pianura con in testa e nel cuore il sogno della loro barca, ci si ritrova a passare da un continente all’altro. Messico, Stati Uniti, Svezia, Germania, Hong Kong, Francia; i clienti Ice Yachts vengono tutti, con qualche rara eccezione, da oltre i confini italiani, spesso europei.
“Certo, l’era della comunicazione globale – dice Malgara – aiuta, e con internet molti armatori, cercando barche con le caratteristiche delle nostre, incappano nel nostro nome. Qualcosa fanno anche i saloni internazionali, anche se noi non ne facciamo molti. Credo che invece faccia tanto il passa parola sulla qualità della nostra produzione e sul nostro stile di lavoro. Io cerco sempre di incontrare i nostri clienti qui da noi, di portarli a contatto con la nostra realtà, fargli vedere come costruiamo le barche. E questa è forse la forma di marketing più vera ed efficace”.
Strano respirare quest’aria di mare in mezzo alla pianura. Forse, tutto è davvero cominciato più di mezzo secolo fa a Offanengo, nel piccolo capannone dove nacquero gli Alpa. Quello che è certo è che questa aria si respira ancora, e che il carbonio, i materiali super leggeri, i computer e i sistemi di progettazione più sofisticati che fanno nascere e crescere gli Ice Yachts, non hanno soffocato la passione per le barche, ma l’hanno esaltata. E che quello che importa è che l’artigianato italiano abbia una casa, o un capannone, dove mostrare al mondo di cosa è capace.
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