La cultura del mare è qualcosa in più rispetto al sapere andare per mare, all’esperienza, alla conoscenza delle perfette manovre o al saper tracciare una rotta.
La cultura del mare è qualcosa che si respira fin da piccoli, un imprinting che segna l’intera vita e modifica la percezione di noi stessi nel mondo, non solo per mare.
Credo ci sia una predisposizione alla cultura del mare, qualcosa di trasmesso geneticamente di padre in figlio, perché non bastano gli anni passati su barche a vela o a motore, gli anni passati tra mari e oceani, tra porti e approdi, non basta solcare le onde per avere cultura del mare. Non tutti l’acquisiscono.
Giovanni Acquarone è uno di quei pochi. Probabilmente l’ha notato anche la casa editrice, Mursia, che ha intitolato l’ultimo romanzo dell’autore: Il mare è il tuo specchio, riferendosi esplicitamente alla poesia di Charles Baudelaire “L’Homme et la mer”.
Radici familiari che affondano nel mare e che avviluppano l’intera vita di Nanni, come lo chiamano gli amici. Pratiche marinaresche che vede e rivede da quando è bimbo, esperienze che lo portano a compiere l’immensa impresa del passaggio a Nord Ovest (primo italiano con equipaggio italiano a farlo), miti e tradizioni che rispetta e valorizza.
Una storia che non è solo la sua ma anche quella di suo padre, il suo mentore, che lo convince a comprare una barchetta a vela trovata in Ungheria sul lago Balaton. Un padre che lo accompagnerà per un tratto “della rotta” che è la sua vita, fino all’ultima tappa insieme, quella in Corsica di cui l’autore scrive “Lui (il padre N.d.A.) avrebbe avuto poco altro tempo per queste cose, ma allora non avremmo potuto indovinarlo… il suo compito di mentore stava già giungendo alla fine”.
Giovanni Acquarone instaura con le sue barche un rapporto sempre più intimo, personificandola fino ad instaura con la Best Explorer un vero e proprio rapporto di amicizia, di parentela. Mamma o dispettosa compagna di scuola a secondo del momento.
Avevano ragione gli antichi marinai greci o fenici: antropomorfizzare la barca diventa naturale e Nanni lo sa bene.
Ho deciso consapevolmente di raccontare questo aspetto di Giovanni Acquarone, se pur di altrettanto rilievo, forse per alcuni maggiore, fosse quello delle imprese mirabili da lui compiute, raccolte e narrate, esaustivamente nel romanzo.
Esperienze che incrociano rotte, paesaggi, odori, sensazioni, contrattempi e timori che decisamente affascinano. Come quando a Tromsø l’autore e il suo equipaggio sono costretti a fermarsi per più di un mese per sostituire il motore della Best Explorer (barca a vela armata a cutter con armo Marconi, scafo e coperta in acciaio. Lunga 15,17 m.) prima di intraprendere la rotta per il passaggio a Nord-Ovest. Tanti giorni di lavoro ma soprattutto tante notti in cui il freddo gelido scompariva davanti alla meraviglia delle aurore boreali. Giorni in cui arriva la temuta tempesta da nord e Giovanni decide di arenare di proposito la barca sulla spiaggia di ghiaia “Mentre la marea scende Best Explorer si adagia sul fondo ciottoloso e digradante, le cime di ormeggio si tendono sempre di più rischiando di spezzarsi, i pali del pontile si piegano sotto la spinta della barca che ci si appoggia, inclinandosi […] Salto a terra con il cuore in gola per non essere schiacciato dal disastro imminente. Freddy ed io guardiamo pallidi ed impietriti il lento aumentare degli sforzi sperando che le cime e i pali tengano fino all’alta marea. […] Quando alla fine la marea risale la barca è ancora in piedi e pontile, cime e bitte hanno retto”.
Per Giovanni Acquarone la vita è diventata mare, il vento: destino, i muri delle onde: faticose salite, i pack: incontri che spesso impongono cambiamenti di rotta, i porti: tranquillità conquistata che spinge a riprendere il mare.
“… Bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca” scriveva Edgar Lee Master nell’ Antologia dello Spoon River, perché la vita è “una barca che anela al mare sebbene lo tema”.
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