Cominciamo dal principio. Io vivo per quanti più mesi all’anno mi è possibile su una barca a vela con cui si fanno charter e scuola di vela.
Vedo perciò molte persone salire per la prima volta nella loro vita su una barca, e di solito vedo delle reazioni molto forti. La barca “si ama o si odia”, come si dice nei film. Più realisticamente io direi che chi sale per la prima volta su una barca, soprattutto a vela, intravede il significato di una vita diversa che la scelta di vivere in mare porta con sè, e la ama, oppure vede solo la scomodità e le mancanze, e la odia.
Tra quelli che la amano, in molti mi chiedono come si fa per fare una stagione imbarcati, ammaliati dalla visione romantica del lavoro in barca: vento nei capelli, baciati dal sole, in costume tutto il giorno. E io purtroppo devo disilluderli… Ci sono tanti ruoli da ricoprire lavorando imbarcati, ma tutti hanno in comune una cosa: sono lavori tosti, a tutti gli effetti, fisicamente e mentalmente. Lavori bellissimi, legati ad una passione fortissima, ma tosti, che non si possono fare improvvisando. E bisogna fare un po’ di chiarezza…
Innanzitutto esiste una grande differenza tra il lavorare su barche a motore e a vela, e un’ulteriore distinzione deve essere fatta tra le barche di lusso e quelle “standard”, quelle che fanno charter e quelle che sono usate solo da armatori privati con amici e famiglia. Più si sale di livello, maggiori sono i vincoli che ci si deve aspettare.
Se si lavora come hostess niente costume, per esempio, ma uniforme con tanto di nome della barca stampato sul petto. Le richieste sulla cucina possono essere molto eccentriche… a me una volta è capitato di dover cucinare dessert rigorosamente senza carboidrati, perchè quella era la moda della dieta del momento. Ma può anche darsi che a bordo ci sia il cuoco, e che alla hostess sia richiesto “solamente” di occuparsi della tavola, degli aperitivi e così via. Avete mai provato a portare sei bicchieri di vetro con onde di due metri? O a gestire quattro persone che hanno il mal di mare in contemporanea?
Il comandante ha un ruolo che più difficilmente viene vincolato. Alla fine è lui che ha la responsabilità delle persone a bordo, e non si scherza. Io infatti al mio comandante dico sempre che lui non fa niente dalla mattina alla sera, e che tutti i problemi me li becco io… Ovviamente scherzo, ma è vero che nessuno va a dire nulla allo skipper, e la hostess è un filtro molto molto utilizzato dalle persone a bordo. E d’altra parte questo è uno degli aspetti più belli del lavoro: si conoscono tante persone, e le si conoscono molto bene anche se in poco tempo. Un’enorme ricchezza che ripaga delle ricompense economiche a volte non proprio commisurate al fatto che chi lavora in barca è di fatto in servizio 24 ore su 24, spesso fuori sotto la pioggia o con vento forte, relegato in spazi ristretti con poca privacy per molti mesi.
Io più che hostess mi definisco marinaio, ma nella sostanza cambia poco: oltre a sistemare la cucina c’è da ricordarsi di tirare su il dinghy, mettere giù il dinghy, riparare qualcosa che si è rotto, piegare le vele, fare su le scotte, preparare l’entrata in porto, sistemare i parabordi, tirare fuori le cime (se vi serve un dizionario per capire di cosa sto parlando, provate questo). Il tutto condito dall’elemento che regna sovrano in mare: l’imprevedibile. Un grande classico ad esempio è il groppo di pioggia che ti coglie proprio mentre sei a prua che stai cercando di prendere la boa con il mezzo marinaio, e che ti lava per benino anche quando non vorresti.
Io non tornerei al lavoro di ufficio nemmeno se mi ricoprissero d’oro, ma che non si pensi che me ne sto in costume tutto il giorno a prendere il sole, please.