Isola Ferdinandea:cosa accadde veramente?
La mattina del 12 luglio 1831 il sole splendeva sugli eleganti cappelli delle donne che passeggiavano nella piazza di San Domenico a Sciacca, la ricca città marinara vanto della provincia di Agrigento. Gli uomini chiacchieravano davanti al bar. All’improvviso un boato atterrisce la folla, all’orizzonte un’imponente colonna si alza dal mare puntando al cielo. “Va a fuoco una nave” urlò qualcuno.
La stessa mattina il sole splendeva anche sul porto di Palermo. Il comandante Francesco Trafiletti, sbarcato dal suo brigantino “Gustavo”, si precipitò nell’ufficio della capitaneria: “Tristi presagi nel mare di Sciacca” ansimò lasciandosi cadere su una sedia. “Navigavo nel Canale di Sicilia, di fronte Sciacca, a trenta miglia da Capo San Marco, avete presente dove c’è la secca di mare? All’improvviso un’esplosione violentissima, colonne d’acqua dal mare al cielo e fiamme e fumo, colonne di più di cinquanta metri… le onde gorgogliavano come bollendo… ho virato a babordo e mi sono allontanato dalla rotta ma il mare continuava a bollire… i pesci salivano a galla morti stecchiti…”
Sei giorni più tardi, il 18 luglio, il comandante Corrao vide emergere la testa di un vulcano in piena eruzione di fronte a Sciacca a 37º, 11′ di latitudine nord e 12º, 44′ di longitudine est. L’eruzione proseguì fino al 24 luglio formando un’isola di sessanta metri di altezza e lunga venti.
La notizia si diffuse e da ogni parte giunsero fisici e geologi per esplorare la nuova isola e studiarne la composizione organica. Il primo a sbarcare fu Karl Hoffman, docente dell’Università di Scienze Geologiche di Berlino. Dopo un’accurata ricognizione riferì i risultati in una lettera al Duca di Serradifalco.
Il 17 agosto re Ferdinando II, re Borbone del regno delle due Sicilie, avvertendo l’interesse internazionale suscitato dall’isola, si affrettò a includerla nel proprio regno: posta tra Sicilia e Tunisia l’isola avrebbe costituito un importante snodo per il commercio marittimo e il controllo del Mar Mediterraneo. Le diede il pomposo nome di isola Ferdinandea tanto per renderne esplicita la sovranità. Eppure i rappresentanti di ben tre nazioni sbarcarono sull’isola, ognuno innalzando la propria bandiera, ognuno affibbiandole un nome: il capitano Jean La Pierre di un brigantino francese la battezzò Julia, il capitano Jenhouse di una fregata inglese la battezzò Graham. Gli ultimi a sbarcare, gli spagnoli, la chiamarono Nerita.
Il re Ferdinando II dalla Reggia di Caserta tuonava: l’isola è nostra, stanno violando le acque territoriali. Più di una volta si rischiò il conflitto internazionale. In particolare a metà settembre del 1831 la corvetta italiana “Etna” appena salpata dall’isola Ferdinandea, si ritrovò prua a prua con la fregata inglese di Janhouse. Lo scontro a fuoco sembrò imminente. Poi, come negli antichi poemi greci, un dio ex machina stemperò la tensione e grazie alla mediazione dei comandanti Corrao e Jenhouse la questione venne rimandata ai rispettivi governi.
Gli appetiti sulla sovranità dell’isola non cessarono, delegazioni diplomatiche viaggiavano da nord a sud intavolando trattative di ogni genere. Intanto l’isola Ferdinandea, battuta dalle onde, si stava rimpicciolendo a vista d’occhio. L’8 dicembre il capitano Allotta sul brigantino “Achille” constatò che dell’isola rimaneva solo “una colonna di acqua calda dall’odore di bitume”. Le trattative a quel punto vennero concluse: la sovranità sull’isola che non c’è più poteva essere accordata al regno delle due Sicilie con buona pace di tutti.
Nel 1863 il vulcano sottomarino si risvegliò e in pochi giorni si formò un nuovo isolotto. La polemica si riaccese. II “Times” titolò: «un’isola britannica emerge dal Mediterraneo».
All’indomani il mare l’aveva già inghiottita. In quello stesso punto, poco più di cento anni più tardi, mentre il terremoto devastava il Belice, le acque cominciarono a ribollire preannunciando forse la comparsa di un’ennesima isola Ferdinandea. Cosi non fu ma venne segnalato un certo movimento di navi britanniche della flotta del Mediterraneo.
Il vulcano sottomarino, che oggi si è scoperto essere uno dei coni accessori del vulcano sottomarino Empedocle, non produsse più nuove isole ma a scanso di equivoci e per non rischiare un’invasione da parte di altri stati, la Sicilia nel 2002, a seguito di una nuova attività sismica, inviò alcuni sommozzatori ad apporre una targa sul Banco di Gramh (nome che indica la zona immersa dell’isola Ferdinandea).
Sulla targa si legge: «Questo lembo di terra, una volta isola Ferdinandea, era e sarà sempre del Popolo Siciliano!», come se oggi fosse immaginabile che uno stato ne invada un altro per appropriarsi di territori non suoi!! Il 1800 era il periodo dell’imperialismo, il periodo in cui si disegnavano i confini, si gettavano le basi per il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli e della sovranità nazionale. Insomma oggi sarebbe tutta un’altra storia… o no?