La triste sorte del marinaio a terra

Davvero triste la vita degli uomini di mare costretti a passare la stagione a terra… Agognata per tutta l’estate tra un’ancora che ara e un vicino di barca insopportabile, la vita a terra è tragicamente inadatta a chi ormai si è abituato a vivere in mare.

I primi giorni sono tremendi: gli odori, i rumori, la folla e tutte le cose a cui i terrestri non fanno neppure più caso sono un fastidio continuo. Il traffico e l’ansia del parcheggio sono cose incomprensibili che arrivano a far dubitare al marinaio che l’essere umano si sia davvero evoluto. La perenne reperibilità è una maledizione, tanto che il telefono finisce per essere spento ben presto. Ma fin qui, niente che non si superi in poche settimane passate con la terra sotto ai piedi.

La vera misura del disagio del marinaio a terra è data dai rapporti con gli altri. Abituati a trattare con gli altri marinai, che saranno anche pettegoli e precisini ma sono tendenzialmente sempre pronti ad aiutare gli altri uomini di mare, i marinai sono soggetti più di altri a subire le subdole difficoltà che fanno parte della vita a terra. Tariffe telefoniche, inghippi burocratici, la selva delle assicurazioni e delle bollette, amministratori di condominio senza scrupoli: tutte trappole mortali in cui il marinaio cade come una pera cotta.

Patrick O’Brian ha esemplificato nella maniera più romanzesca possibile questa triste verità facendo di Jack Aubrey, protagonista dei suoi libri, il più capace e il più acuto dei marinai, e contemporaneamente il più disadattato degli uomini a terra. I libri scritti da O’Brian per raccontarci le storie di Jack Aubrey e del suo inseparabile amico Stephen Maturin sono una ventina, e anche se vi consigliamo di leggerli tutti e poi di ricominciare da capo tanto sono appassionanti e ben scritti, ne bastano un paio per farvi un’idea dei personaggi. Il primo, “Primo comando”, in cui è evidente la scelleratezza del comandante Aubrey nei suoi rapporti con il sesso femminile, o magari “Ai confini del mare”, reso celebre dalla trasposizione cinematografica di Master and Commander, in cui troverete Jack alle prese (anche) con sedicenti affaristi che dilapidano senza scrupoli il suo patrimonio, avvocati che cercano di difenderlo, trame politiche dell’Ammiragliato e altre diavolerie terrestri.

Naturalmente nei libri va tutto a finire bene (o quasi), e Jack Aubrey poteva sempre rifugiarsi su una nave per sfuggire ai problemi, ma a noi poveri marinai in carne e ossa non resta che sospirare nostalgici, guardare il mare e fare quello che faremmo in una burrasca: metterci in cappa e aspettare, che certi mari sono davvero innavigabili…

Sara Teghini

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