Le isole di plastica

Ieri Giovanni Soldini, il famoso velista italiano impegnato con Maserati nell’ennesimo tentativo di record, ha inviato da bordo un diario insolito.

Navigando in Pacifico per il record da San Francisco a Shangai, non ha parlato dei tifoni che rischia di incrociare, o delle scelte strategiche di una navigazione impegnativa, ma di un’isola che non si aspettava di incontrare sulla sua rotta, la famigerata “isola di plastica del Pacifico“. Da anni ormai se ne parla, di questo accumulo di rifiuti per lo più di materiale plastico trascinati dai venti e dalle correnti in alcune zone piuttosto concentrate degli oceani. La più famosa e’ appunto quella del Pacifico settentrionale, ma si stima che ce ne siano altre sia nel Pacifico del Sud che nell’oceano Atlantico.

Scrive Giovanni Soldini: “Continuiamo ad avvistare boette, pezzi di cima galleggianti, pezzi di cellofan, pneumatici di automobili, pezzi di rete, grosse sfere nere di plastica alla deriva, insomma una miriade di oggetti consunti dal mare e dal sole che navigano insieme a noi intorno all’alta pressione. Questa notte abbiamo lottato un paio d’ore per cercare di liberare il timone sinistro da una cima galleggiante di plastica e continuiamo a vigilare verso prua per cercare di evitare i moltissimi oggetti che incontriamo.”

Sul web molti avanzano dei dubbi sull’esistenza di quest'”isola” per la mancanza di immagini chiare che ne mostrino l’esistenza, o per la variabilita’ delle stime che la descrivono a volte grande come la Penisola Iberica, a volte come gli Stati Uniti. Gli esperti ci dicono che e’ difficile fotografarla o stimarne i confini perche’ la plastica a causa del sole e degli altri agenti atmosferici si degrada fino a ridursi in pezzi picolissimi, che non necessariamente galleggiano, ma possono trovarsi in alte concentrazioni fino a 10 metri sotto la superficie del mare e, piu’ diluiti, fino a profondita’ molto maggiori. Questi frammenti, tra le altre cose, sono spesso ingeriti dai pesci che si nutrono di plancton e, salendo lungo la catena alimentare, da tutti gli altri (da notare che alla fine di questa catena alimentare ci siamo noi).

Aldila’ dei problemi “spiccioli” che chi naviga incontra regolarmente a causa dei rifiuti galleggianti – eliche e timoni da liberare da reti e pezzi di plastica, terrore che i container o altri grossi pezzi galleggianti urtino la barca – il problema che una tale concentrazione di rifiuti nel mare pone e’ ovviamente enorme, e di sostenibilita’. Chi ama navigare, come voi che probabilmente leggete questo blog, non riesce a ignorarlo, o a far finta di niente.

Conclude Giovanni Soldini: “E’ una sensazione triste di impotenza e rassegnazione quella che si prova davanti a uno spettacolo cosi devastante. Veniamo dal triangolo d’oro dell’intelligenza umana, la Silicon Valley, dove immensi capitali sono concentrati in poche mani che ogni giorno pensano e inventano il nostro futuro. Lungo la costa della California ogni anno centinaia di balene risalgono la corrente per andare a nutrirsi nel Pacifico del nord e a prima vista sembra che il mondo, questo mondo, stia pensando anche a un futuro sostenibile. Ma a sole mille miglia da costa la visione è ben diversa e lo scempio si presenta davanti ai nostri occhi nella sua immonda crudezza. E’ questa la vera faccia del progresso? E’ questo quello che ci aspetta? Mari pieni di plastica, pesci e uccelli morti avvelenati. Forse invece di pensare solo al nostro tecnologico futuro dovremmo investire risorse per difendere da noi stessi le risorse di questo pianeta”.

 

Sara Teghini

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