Quelli che sanno sempre tutto su come si arma una barca, si conduce una barca, si disegna una barca, si arreda una barca, si compra una barca, si vende una barca.
E, naturalmente, comodamente seduti a casa propria si sentono in diritto di insegnarlo agli altri con una certa impazienza e aggressività didattica.
In uno di questi scambi educativi mi sono imbattuta in un momento dialettico surreale ai limiti del sublime.
Si commentava la foto di una dinette esposta al Salone a Genova: piuttosto minimal, geometrica e dai colori neutri come usa in questo periodo.
Può piacere o non piacere, per carità. Ma c’era un evangelista delle barche di quando si stava meglio quando si stava peggio che non voleva sentire ragioni.
Da solo infatti, o con la moglie Chicca e con il gatto, o talvolta con ospiti tra i mille amici che ha incontrato nei sette mari, Andrea ha navigato su Mai Stracc per ventitré anni, macinando trecentomila miglia (trecentomila!), dal Mediterraneo alla Polinesia, dall’Antartide all’Alaska.
Mai Stracc: “mai stanco”, in milanese. Perché, sì, Andrea è un altro dei navigatori che la pianura della scighera e della madunina ha donato all’oceano. Imbarcato a quindici anni, nel 1995 è partito su Mai Stracc e, non essendo mai stanco, non si è ancora fermato.
Trentasei piedi per vivere e navigare per ventitré anni prima da solo e poi in due oltre Panama e fino alla Malesia, passando per le Hawaii, le Marchesi, le Tuamotu, le Isole della Società, la Polinesia, la Nuova Zelanda.
Poi su fino in Alaska, poi giù di nuovo in Pacifico, via San Francisco e Baja California, fino a Thaiti. Senza dimenticare l’Antartide e Capo Horn.
Una barca che farebbe felici quelli che difendono il modo di navigare di una volta, senza troppa elettronica da diporto ma senza lesinare sull’indispensabile per navigare: radar e gps, strumenti del vento, log, sonar, vhf e telefono satellitare. E con molta attenzione al pilota automatico (anzi, a bordo ce ne sono tre).
Con un generatore eolico e due pannelli solari – di quelli rigidi, attaccati alle draglie e reclinabili in falchetta – la barca è perfettamente autosufficiente dal punto di vista energetico e non si attacca mai alla corrente in banchina.
Verso la pala eolica sale anche un’antenna a dipolo che Andrea ha montato spendendo pochi dollari e con cui è stato possibile comunicare anche in Alaska e in Antartide dove la copertura satellitare è scarsa.
Andrea e Chicca sono fatti così: hanno doppiato Capo Horn e hanno navigato tra gli iceberg ma poi si vantano dell’antenna radio fatta in casa e dei paglioli appena cambiati.
Chicca e Andrea, dicevo, sono fatti così: ti conoscono da dieci minuti e ti invitano a cena.
A cena ci sono anche Antonio che ha vissuto 1165 giorni da uomo libero navigando in tutti gli oceani del mondo, e ha una carica di entusiasmo contagiosa e un’energia che non sai dove la prenda.
Tristan, giovane franco-californiano che è arrivato via mare dagli Stati Uniti e in tre settimane ha già imparato l’italiano. Corrado che non osa dirlo ma sta aspettando il momento buono per partire. Io, che finalmente mi sento a casa.
Water maker? Sopra al pozzetto Andrea ha montato un tendalino, al cui centro ha inserito un ombrinale che lo trasforma in un grande imbuto per raccogliere l’acqua piovana. A bordo ci sono tre serbatoi per l’acqua dolce, accuratamente separati per non rovesciare tutto in sentina in caso di rottura. Tutto studiato e riadattato per ridurre al minimo le riparazioni.
Andrea deve conoscerla punto per punto, questa barca. Negli anni l’ha completamente riarmata e riorganizzata, ci tiene a raccontarmi come tutto sia in perfetta efficienza e come nel viaggio da Panama a qui non si sia mossa nemmeno una vite.
Per la manutenzione c’è un tavolo officina estraibile posto sopra al motore, in modo che tutto sia a portata di mano e che gli attrezzi restino al caldo e si conservino sempre ingrassati e fluidi anche quando e dove fa più freddo.
D’inverno e alle alte latitudini, su Mai Stracc ci si scaldava con una stufa a gasolio, alimentata da un serbatoio ricavato come un doppiofondo nella parete del bagno per ingombrare il meno possibile.
Adesso la stufa è stata tolta e spostata sulla nuova barca.
Matura e tranquilla? Ecco il programma di questi charter “borghesucci” da cinquantenni prossimi venturi: San Blas. Panama – Honolulu. Honolulu – Kodiak (Alaska). Giri vari in Alaska. Victoria – San Francisco. San Francisco – La Paz. Baja California – Fatu Hiva (Isole Marchesi, Polinesia). Crociere in Polinesia. Tahiti – Ushuaia via Capo Horn. Crociere in Patagonia ad libitum.
In Alaska, dice Andrea, ha rivisto un ghiacciaio sette anni dopo e si era ritirato di sette miglia: un miglio all’anno.
Oppure, tra Haiti e Cuba il mare era intasato di sargassi e plastica: quattro o cinque volte al giorno era costretto a fare marcia indietro per staccarli dalla chiglia.
Il progetto era di navigare su Durlindana per i charter e lasciare Mai Stracc in Italia per usarla nelle pause come casa in Mediterraneo.
Però c’è un problema. Il problema è che Durlindana, che ora si trova a Panama, ha improvvisamente disalberato e ha avuto bisogno di attrezzature nuove, dato che è stato necessario abbandonare in mare l’albero caduto, con vele e sartiame.
Così adesso, per riarmare Durlindana, il Mai Stracc è in vendita e si fermerà per un momento a Genova, e poi a Bocca di Magra, in attesa di adozione da parte di chi lo capisca e lo faccia navigare ancora e ancora.
O per lo meno di qualcuno che provi a farlo stancare un po’.
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