Sessanta diversi modelli di gommone compresi fra i 7 e i 10 metri, una capacità produttiva di 200 pezzi all’anno, una diffusione capillare in tutto il mondo con il marchio Master. Sono questi i numeri di un successo tutto italiano. Ma dietro ai numeri ci sono le persone.
Primo fra tutti il fondatore, Pietro Gargiulo, che nel 1983 a Milano, insieme con la moglie, iniziò l’attività produttiva per poi trasferirla nel 1997 nella nativa Palermo. E naturalmente le persone che ci lavorano, fra le quali colei la quale oggi rappresenta la mente e il braccio operativo dell’azienda.
“Ma l’anima di questa realtà – precisa l’imprenditrice – è da sempre mio padre, il suo intuito e le sue straordinarie capacità manuali. E mia madre. Questa azienda, senza di lei non sarebbe stata la stessa”.
Trentotto anni, tre figli e un lavoro che la porta a viaggiare in continuazione, Annalisa racconta l’esperienza di una realtà artigianale pura, capace però di assorbire i più moderni strumenti di analisi e conduzione aziendale per affrontare i mercati internazionali.
“Siamo una delle poche realtà italiane – ci spiega – in grado di realizzare tutta la filiera produttiva internamente, dalla progettazione alla produzione di tutte le parti del battello. Siamo quindi artigiani puri che nello stesso tempo devono confrontarsi con mercati internazionali molto diversi fra loro e naturalmente con il mercato interno”
Ma anche voi avrete avvertito i colpi della crisi che nella nautica italiana sono stati micidiali.
“Certamente, ma siamo stati in grado, molto prima della deflagrazione, di mettere in atto le strategie giuste per affrontare i lunghi anni della crisi, dal contenimento delle spese all’ideazione di nuovi modelli. Soprattutto questa capacità di reazione, di inventare qualcosa di nuovo quando tutti tendevano a chiudersi sul già fatto, sul conosciuto, ha fatto la differenza. E poi naturalmente ci sono la nostra storia e la fiducia che questa suscita nella clientela”.
Anche la progettazione, come la produzione, è tutta interna alla Master?
“Assolutamente, in linea con la nostra vocazione artigianale. Noi iniziamo a progettare partendo da un’idea per trasformarla in un modellino con legno, scotch, carta. Il progetto nasce così, dalle mani, solo dopo entrano in gioco i computer e i calcoli”.
Questo approccio vi dà una forte capacità di personalizzazione dei vostri battelli.
“Si, siamo in grado di assecondare molto i gusti del cliente partendo naturalmente da una base strutturale nostra, che deve rispettare i criteri di marinità e robustezza. E questa capacità di personalizzazione è presente sia sui modelli da diporto che su quelli da lavoro”.
Qual è il vostro cliente tipo?
“Possiamo individuare due tipologie generali. I clienti stranieri, sia che vengano dalla Nuova Caledonia o dalla Cina, in comune puntano sulle qualità strutturali della nostra produzione, sull’eccellenza dei materiali e delle rifiniture tecniche. I clienti italiani, generalmente, sono passati da una forte attenzione agli aspetti strutturali a quelli estetici. La nostra capacità è quella di coniugare entrambi gli aspetti”.
Una donna in un ambiente a forte connotazione maschile. Problemi ce ne sono stati?
“Problemi grossi no, ma è vero che diffidenza spesso ne ho incontrata. La metto sempre in conto al primo step ma poi, quando il rapporto si sposta sul piano professionale, emergono le competenze, anche quelle tecniche. Una volta in Cina, di fronte a clienti che si rifiutavano di trattare con una donna, mi sono inventata uno pseudonimo maschile. Siamo andati avanti così via mail per settimane poi, quando ci siamo visti, si sono ritrovati davanti una donna. Ma si sono dovuti arrendere di fronte alle competenze. E poi, essere donna mi dà una chiave in più nei confronti del cliente uomo: la capacità di convincere la moglie”.
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