Maurizio Cossutti, udinese classe 1958, è uno dei grandi rappresentanti della scuola italiana di yacht designer. Di recente, lo studio di progettazione Cossutti Yacht Design (CYD), tra i più apprezzati degli ultimi 20 anni per le imbarcazioni da regata, sta vivendo un periodo di grande notorietà anche per una serie di lavori rivolti al pubblico crocieristico, tra cui il C 57, ultima ammiraglia del colosso tedesco Bavaria che “visto il successo ottenuto da questa opera prima vuole continuare il rapporto con noi per far crescere la gamma C, per cui è probabile che ci lavoreremo ancora”, afferma il progettista parlando del cantiere di Giebelstadt: “c’è stato uno scambio reciproco continuo, ci siamo arricchiti entrambi di esperienze e competenze. Sono stati attenti anche al nostro valore e ci hanno dato visibilità”.
L’attività dello studio friulano è in fermento su molti fronti: “Stiamo modificando barche un po’ in tutto il mondo, dal Brasile alla Norvegia, con interventi soprattutto finalizzati alla regata. Abbiamo in costruzione un secondo 37’ in Estonia, nello stesso cantiere dove è stato costruito il one -off Katariina II; con il cantiere croato More Boat abbiamo appena realizzato il 55’ e il venturo 40’, di cui arriverà in Italia il primo esemplare a breve; in più continuano i rapporti con Salona per cui abbiamo disegnato il 380”.
Insomma un’attività senza sosta… Cosa è successo che tutti vogliono le barche di Cossutti?
Abbiamo raccolto i frutti di tanti anni di sforzi. In Italia siamo lontani dal baricentro nautico, per questo dobbiamo darci da fare per salire alla ribalta. Inoltre è difficile mantenere una struttura con le sole barche da corsa, poi, bisogna aprirsi a dimensioni maggiori, sia come tipologia di yacht sia proprio come studio. Da tre anni l’ingresso di un socio (l’ingegnere navale Alessandro Ganz, ndr) ha aiutato sia me, sia i rapporti con i clienti. In più siamo anche cresciuti in termini di dimensioni e oggi possiamo contare su cinque persone fisse più due consulenti esterni.
Se guardiamo indietro da dove ci troviamo oggi, tra le innovazioni tecnologiche e di design, che cosa ha modificato di più l’andare in barca negli ultimi 20 anni?
In generale si è affrontato un discorso di semplificazione e di razionalizzazione delle coperte. Un processo che ha coinvolto sia i nuovi materiali sia le attrezzature, anche semplificando le manovre. Per esempio, fino a non troppi anni fa i maxi yacht, ma non solo, avevano le scotte dei fiocchi e i bracci degli spi con l’ultima parte in acciaio, oggi sono totalmente in tessile e ciò consente di rivedere le attrezzature e la loro disposizione in coperta. Grossi passi avanti sono stati fatti anche nei piani velici, sia come tagli sia come come tipologia: impensabile, qualche anno fa, avere grosse vele come i gennaker rollabili o i code 0. Tutto ciò ha reso le barche più semplici e e più divertenti.
C’è qualcuno che ha dei meriti particolari in questo processo evolutivo?
Un grande passo in avanti è stato compiuto con l’introduzione dell’easy sailing e qui c’è da ringraziare l’intuizione di Luca Bassani che insieme allo studio Brenta e poi con German Frers ha pensato i Wally; anche l’amico Alessandro Vismara ha sempre cercato di introdurre novità a livello sia impiantistico/propulsivo sia di piani di coperta delle sue barche, sempre improntate a un design essenziale e minimalista. Il risultato è che anche un 70’ oggi ha solo pochi winch, gestibili dal timoniere, e tutto il resto della coperta è libera per il gioco, per la vita a bordo. Addirittura sono sparite anche le cime, che oggi corrono nascoste sotto la coperta e ciò ha aperto porte inaspettate per il design. Ha creato una duplice rivoluzione, sia di gestione sia di estetica.
E vale solo per le barche grandi?
Non solo: la ricaduta a pioggia è su tutte le misure. Dai 40’ in su non c’è cliente che non desideri queste soluzioni: tutti vogliono gestire la barca da soli, o per lo meno con la maggiore autonomia possibile.
E nello scafo è cambiato qualcosa?
Le forme di scafo certamente si sono evolute, soprattutto andando verso carene con maggiori volumi , poi ci sono alcune particolarità tipo gli spigoli che a volte sono giustificate, altre sono dettate da ragioni di moda e/o marketing. Comunque anche barche di qualche anno fa, nate per la regata, possono diventare ottimi mezzi da crociera veloce: per esempio c’è chi compra una barca come il Sinergia 40 (l’apice della progettazione IMS, con sezione a U e baglio massimo di poco superiore alla larghezza all’estrema poppa, ndr) la taglia e la modifica per adattarla al nuovo, compreso il rinviare tutte le manovre in pozzetto; è comunque tutto frutto dell’innovazione tecnologica, certi giri di drizze e scotte sono possibili solo perché le cime hanno dimensioni minori grazie ai nuovi materiali, così come i winch sono più piccoli e compatti, ma ugualmente potenti. In pratica la tecnologia ha consentito ai progettisti e ai cantieri di recepire un’esigenza del mercato.
Tu, come progettista, che cosa hai portato nella nautica che prima non c’era?
Il fatto che la gente ci chiami significa che riusciamo a rispondere alle aspettative del cliente. Capiamo quello che vuole e riusciamo a darglielo, mantenendo, al di là del rapporto professionale, un rapporto umano, molto piacevole, con tutti i clienti. Abbiamo la capacità di disegnare buone barche. Nello specifico e riguardo all’ultimo progetto con Bavaria, i tedeschi avevano bisogno di una ventata di aria nuova, un po’ di italian design. Nonostante a volte non siamo un popolo così rigoroso e magari organizzato come altri, anzi alle volte ci comportiamo proprio da cialtroni, abbiamo ancora dell’appeal, un’apertura mentale non comuni e non diamo nulla per scontato. Noi proponiamo delle cose, i tedeschi altre, ma sempre in collaborazione e sempre con una certa disponibilità a seguire il lavoro e il cantiere. Insomma, pensiamo a fornire un servizio. Realizziamo barche che camminano bene e che non hanno problemi strutturali, ma su cui ci metti sopra il valore aggiunto: il servizio più il rapporto umano. Ecco credo che il nostro pacchetto vincente sia quello.
Tu che parli con entrambi gli schieramenti, cantieri e armatori, e fai parte del terzo polo coinvolto nella genesi di una barca, sai dirci chi decide dove va lo stile nautico: clienti, cantieri o progettisti?
Quando parliamo con il cantiere, in genere è lui che mette i paletti (vedi per esempio Italia Yachts: la poppa old style su tutti e tre i modelli presentati come stilema del cantiere). Con i tedeschi è stata un’indagine di mercato a guidare le scelte, con le caratteristiche dell’imbarcazione per il charter e per i privati: noi siamo stati comunque in grado di proporre la nostra idea di barca e gli abbiamo sempre messo sul tavolo una serie di elementi per noi necessari -almeno tre aree prendisole e altre ricorrenze stilistiche-, all’interno del canovaccio che ci era stato dato. In altri campi è il cantiere che di sua sponte cerca barche nuove. Per esempio Beneteau, con i Sense, gli Oceanis e i First: evidentemente volevano esplorare le tipologie diverse, ma non so se più per condizionare il mercato o se per capire in che direzione andare.
Non è possibile fare previsioni di come sarà il mercato del prossimo futuro?
Nessuno sa come sarà il mercato tra 10 anni, anche perché sta cambiando la figura armatoriale: sparisce l’armatore che si dedica alla sua barca nel tempo libero e si afferma la multi-proprietà, vedi, per esempio, More che gestisce direttamente le barche dei clienti. C’è molto meno il senso del possesso e molto più quello dell’utilizzo. Il successo che hanno iniziative tipo Airbnb è proprio figlio di questo cambiamento. Ciò ha influenza sul design delle barche, di sicuro dovremo trovare qualcosa che piaccia a un pubblico più ampio, una sintesi degli oggetti naviganti che si vedono in giro oggi. Per esempio si vedono sempre più catamarani in acqua perché si cercano soluzioni e spazi che prima non c’erano. Il fatto che sembra Beneteau voglia resuscitare la linea First significa che c’è ancora richiesta di performance cruiser, tipologia che sembrava morta. Per tradurla in termini automobilistici: bisogna essere in grado di accontentare anche il cliente che vuole il BMW 318 M line, la presenza di finiture sportive anche se solo da un punto di vista estetico dà qualche vigore e della verve in più, anche se poi il motore sempre quello è.
Quanto conta la firma di un designer su una barca? In altre parole, in un mercato di massa, per quanto può esserlo la nautica, la gente guarda chi è il progettista?
Secondo me ancora sì, o comunque se non lo guarda subito, poi va a vedere chi è che ha disegnato ciò che sta comprando. Comunque è qualcosa che è più presente nella vela che non nel motore, salvo i supermegayacht a motore, in cui c’è anzi la ricerca dell’archistar anche esterna alla nautica. Proprio restando in casa Beneteau e facendo il parallelo con Montecarlo Yachts, i progettisti Nuvolari&Lenard sono stati messi in evidenza nei primi modelli, gli ultimi non riportano il nome del designer e questo è stato fatto per dare valore al brand, di modo che il nome del progettista passi in secondo piano. Nella vela di sicuro la firma è più importante. Mi accorgo di quanto sia stata utile l’iniziativa intrapresa dal cantiere More di fare incontrare il progettista ai clienti: diventa evidente che dietro alla barca c’è una persona che l’ha pensata e questo avvicina e rende più umano il rapporto tra le varie parti, cantiere, cliente e progettista, appunto.
Qual è la barca cui sei più affezionato? E ce n’è qualcuna che disconosci o che comunque oggi non rifaresti?
Nel mio cuore c’è Metro più metro meno, un proto di 8,50 metri e una delle prime barche disegnate. Poi c’è l’M37, una pietra miliare (con tre titoli mondiali ORC conquistati tra il 2009 e il 2014); oppure i proto tipo Cometa, un 65’ con albero alare e canting keel. Sono tuttavia abbastanza affezionato a tutte le barche e non ne disconoscerei nessuna anche se qualcuna è venuta meno bene delle altre. Nonostante tutto ci tengo anche al Katariina, il proto estone: uno dei pochi one off tra i 35’ e 45’costruiti di recente. Là, a Tallin, volevo realizzare una mia barca per vincere il Mondiale e non ci sono riuscito: la delusione è stata forte, c’erano delle strade alternative molto buone sulla carta: non si sono tradotte in realtà, ma il rapporto umano con armatore e cantiere è rimasto anzi stiamo ancora collaborando.
È possibile capire oggi se stiamo assistendo al varo di una futura barca d’epoca? In altri termini, che cos’è che rende una barca un classico, soltanto l’età?
Una cosa tipo la Fiat Duna capisci subito che è una chiavica. Un oggetto che si differenzia ti colpisce, ma dire che tra qualche anno sarà ok come appare oggi è difficile. Si sa che le linee tese sono aggressive, ma stufano prima, le curve sono più morbide, anche nel richiamare l’attenzione, ma reggono al tempo. Però è difficile affermarlo a priori, a meno che non siano delle schifezze: quelle si riconoscono subito.
Dove si fa o chi fa ricerca nella nautica?
Noi cerchiamo per quanto possibile di farlo, cercando scafi e appendici che possano esprimere qualcosa di nuovo e di migliore. Siamo sempre a lavoro per cercare soluzioni inedite, investiamo in cose che ci aiutino. Ora che la famiglia dello studio è cresciuta c’è più tempo e cerchiamo sempre di approfondire il lato design. Per esempio, quando abbiamo cominciato a collaborare con un certo cantiere abbiamo condotto una ricerca su come le case automobilistiche trasmettono il family feeling alla gamma: è stato un esercizio interessante come approccio. I cantieri in genere sono restii a svolgere ricerca e più sono grandi e più devono fare quadrare i conti. In più, il velista è tradizionalista e il cantiere deve esserlo per vendergli le barche.
Chi ti piace dei tuoi colleghi?
Mi sono sempre piaciute le barche di Umberto Felci: belle equilibrate, veloci. Mi piaceva Brenta, le sue barche sono sempre belle da vedere, così come Ed Dubois disegnava sempre belle barche. Così come Farr e Davidson. E devo dire che apprezzo anche le barche di Vroljik anche se sono davvero teutoniche.
Che cosa vorresti lasciare allo yacht design di tipicamente tuo?
Una cosa che era un sogno da bambino: super design e super prestazioni. Ci sto lavorando e spero di vederlo realizzato presto. Posso dire solo che non sarà una roulotte galleggiante. E anche fare sì che lo studio CYD possa continuare a disegnare barche come sta facendo ora: la famiglia professionale adesso è grande e va alimentata con il lavoro, anche se io, spero, per i prossimi anni, di potermi riprendere un po’…
… e come?
Sciando e andandoci, in barca.
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