Salgo a bordo e subito mi sento a mio agio. La barca si chiama e_vai ed è un Mylius 76 FD. Elegantissima, nella sua livrea grigio argento. L’occasione, in effetti, lo richiede: è il Venice Hospitality Challenge, una sfida tra maxi ciascuno dei quali è abbinato a uno degli alberghi più lussuosi di Venezia.
e_vai, un Mylius 76 Flush Deck in centro città
Ma l’eleganza talvolta richiede sacrifici: in questo caso sacrificheremo un po’ di velocità.
Pur essendo tutta in carbonio, mi spiega l’armatore, e_vai è completamente attrezzata per comode crociere e perciò soffriremo di un peso maggiore rispetto ai nostri avversari.
Le comode crociere le posso immaginare quando scendo sottocoperta e vedo l’arredamento total white con i rivestimenti in teak.
e_vai è il secondo Mylius 76 FD del cantiere piacentino, varato a giugno 2017, ed è stato concepito per un uso sportivo e agonistico, oltre che per lunghe navigazioni e grandi regate in Mediterraneo e in oceano.
Rispetto al primo esemplare ha un solo timone invece di due, winch elettrici e non idraulici, impianti completi ma un po’ più semplici e un dislocamento inferiore di circa una tonnellata.
Sarebbe pronta per il giro del mondo, ma all’armatore non piacciono le lunghe rotte: dice che si annoia (anche se qualcuno mi ha riferito di averlo visto al timone per otto ore di fila durante una regata in equipaggio ridotto).
Preferisce le regate esplosive e non ha saputo resistere a questo “percorso cittadino” in una cornice inimitabile.
Il progetto agonistico
Per questo progetto, si è affidato a un equipaggio di All Furlans (tutti friulani, con uno straniero gardesano).
La storia mi piace subito: si tratta di una squadra che regatava insieme venticinque anni fa e che poi si era dispersa in esperienze diverse.
Si sono ritrovati per questa missione, come i Blues Brothers, e si coglie immediatamente non solo l’affiatamento ma anche il piacere di stare insieme.
Hanno iniziato gli allenamenti qualche mese fa sotto la direzione di Alberto Rizzi e con un programma graduale che prevedeva diversi passaggi: prima la sicurezza delle persone, poi la sicurezza della barca, poi i risultati. A crescere.
Mi piace anche l’atmosfera che c’è a bordo: l’armatore in disparte si gode lo spettacolo e i ragazzi si organizzano.
Riaggiustano i ruoli secondo le condizioni meteo e la strategia prevista, ripassano insieme le procedure di partenza e il percorso.
Qualche piccolo dubbio, istruzioni di regata sempre in tasca per un controllo.
Una partenza concitata
Prima della regata abbiamo il tempo di fare una prova per quasi tutto il primo lato di bolina e testare vento e vele. Sappiamo che le condizioni tra poco cambieranno per la marea entrante che porterà corrente, e per il vento in calo.
Il circling prima della partenza è già da solo uno spettacolo, nel canale della Giudecca con precedenza ai vaporetti e ai ferry per il Lido.
Il segnale preparatorio è un getto d’acqua da un rimorchiatore di quelli che portano le grandi navi su e giù per la città (allo skipper meeting il sindaco ha promesso che presto passeranno fuori dal Bacino di San Marco) e l’ammainata è il saluto delle tradizionali remiere.
Impagabile Venezia, eterno conflitto tra bellezza e industria, arte e commercio.
Concitazione all’ultimo minuto, siamo tutti troppo avanti sulla linea. Spirit of Portopiccolo ci sfila di poppa sfiorandoci col bompresso e facendo saltar via dal giardinetto l’armatore e qualche ospite. Potete rivivere l’emozione nel video qui sotto, a 360° (consiglio la visuale da poppa verso dritta).
Inizialmente stringiamo poco, poi in aria libera ci riportiamo in rotta.
Buco di vento all’altezza dell’Arsenale, ma teniamo bene fino alla boa di bolina davanti a Sant’Elena.
Qualcuno, anche quest’anno, osa troppo verso terra e si incaglia nella sabbia.
Viriamo in boa recuperando vistosamente sulla flotta, anche se il vento va ormai scomparendo. Quando ci ritroviamo di fronte ai Giardini della Biennale, ecco di nuovo il buco anzi il crollo del vento.
In regata si combatte col vento
E mi sembra di tornare ai tempi delle regate in laser: i giovanotti in standard più leggeri e invelati (Spirit of Portopiccolo, Way of Life, Pendragon, Anemos, Anywave) scivolano avanti, mentre noi eleganti signore del radial indugiamo nella bonaccia, facendo gruppo.
Siamo rimasti indietro, dunque, ma siamo in buona compagnia: da un lato il coriaceo e onnipresente Mauro Pelaschier e dall’altro il campione di ironia oceanica Luca Tosi.
Bordeggia tra noi, al timone di Endeavour New Zealand, il quattordicenne Marco Gradoni che manovra il mostro sacro della Whitbread come un optimist (d’altronde, in questa classe ha vinto due mondiali) orzandoci addosso in un placido match race.
Anche volendo, non abbiamo sufficiente inerzia per spostarci e così il match race diventa un ravvicinato momento di allegria, in cui fra le due barche ci scambiamo colpetti di parabordo e appuntamenti per l’aperitivo.
Passano i minuti e si avvicina il tempo limite ma noi continuiamo a dare spettacolo per coerenza agonistica e per il piacere del gentile pubblico in riva degli Schiavoni e in cima al campanile di San Giorgio.
Avvolgiamo e svolgiamo fiocco e code 0, issiamo e ammainiamo A2, poggiamo e strambiamo senza mai perdere serenità e buonumore.
Mi incanto a vedere la danza dell’equipaggio in falchetta: perfetti all’unisono come ballerine di fila nel cambiar di bordo con rollio e nel correre con la bugna sulle nuove mure.
e_vai non cede fino all’ultimo istante e poi, quando il comitato dà il segnale di fine regata, si accomoda placidamente alle Zattere trasformandosi di nuovo in elegantissima barca da crociera.
Ed è subito brindisi.