Navigare a motore , dialogo inconscio

A me capita d’immaginare che, mentre sono costretto a navigare a motore perché non è rimasto un alito di vento, il marchingegno che canta da “basso”, lì proprio sotto ai miei piedi, racchiuso nello scatolone insonorizzato, si pianti improvvisamente per … gelosia. Mi sembra che dica: “Ami la vela e mi spegni non appena ti è possibile, poi mi riaccendi per manovrare in porto tirandomi il collo avanti e indietro per non sbattere sui moli; finiscila di tormentarmi usa le tue amate vele e lasciami stare in pace “.

Nel sogno divento subdolo e ai pistoni, affinché non si fermino, propongo un patteggiamento: “Lo sanno tutti che l’inoperosità prolungata ti conduce alla rovina ed è per questo che all’ormeggio e qualche volta in navigazione, ti faccio girare e tutto ciò solo ed esclusivamente per il tuo bene “.

Mi domando se sarò stato abbastanza convincente in questo che è diventato un incubo più che un sogno e mi consolo ascoltando il mio Nanni-Mercedes, che continua tranquillo a girare cadenzando il brontolio. Se percepissi un calo improvviso dei giri sono certo che avrei un sussulto al cuore e il riaffiorare di brutti presentimenti.

Quando la mia barca viene spinta dall’elica io provo una strana invidia per la incosciente tranquillità di chi va per mare soltanto a motore; se anche ne avessi due di motori avrei comunque il timore di un qualsiasi inghippo che, dopo due tossite e un borbottio, possano definitivamente tacere entrambi.

E allora? Resto fedele al mio credo: perché chi dispone di un “lenzuolo e di un palo”, prima o poi da qualche parte arriva a terra, mentre gli ammutoliti motonauti o s’improvvisano meccanici in mezzo al mare, oppure invocano aiuto e chiedono il soccorso di un’anima pia che li traini al sicuro.

Molti anni fa ero convinto che tali timori che s’insinuavano nei miei pensieri fossero dettati dalla mia ignoranza di meccanica; cioè dalla mancanza delle nozioni e delle azioni fondamentali per intervenire nel caso di piccole avarie. Con il passar del tempo, un po’ per virtù e per tantissima necessità di risparmiare, mi ero cimentato in alcuni interventi di primo soccorso o di rituale manutenzione. Confesso e devo ammettere che, se escludiamo lo spiacevole annerimento dei contorni delle unghie, il lavoro di apprendista meccanico non è poi così trascendentale come invece viene rappresentato dalle fatture, dalle ricevute fiscali, o anche dai pagamenti “aumm aumm” che, soprattutto nella nautica da diporto avvengono non raramente.

Nonostante questo mio rinnovato approccio, il dialogo con i pistoni si rinnova ogni qual volta mi trovo ad affrontare un percorso un po’ più lungo con il mezzo di propulsione borbottante.

Ancora oggi, dopo tantissimi anni, tutti i miei familiari ricordano quando, ben funzionando il motore, la sua forza propulsiva svanì con un sibilo senza che l’elica ne ricevesse il dovuto vantaggio. Traduco in termini più prosaici: la frizione del piede poppiero slittava e invece che avanzare a sette nodi, a mala pena riuscivamo a superare i due, cioè, per i terricoli che conoscono solo le quattro ruote, ci muovevamo a una velocità massima di 3,5 chilometri all’ora.

Con il bel tempo e il mare liscio come l’olio, e ovviamente senza l’aiuto di Eolo, tutto viene rimesso alla pazienza dello skipper e alla tolleranza dell’equipaggio. Se invece il medesimo marchingegno dovrà servire a manovrare in un porto o, peggio ancora, dovrà assistere l’ormeggio con il vento e la corrente di marea che traversano la barca, il dialogo con il motore azzoppato diventa impossibile e ci si deve affidare alla buona sorte e alla disponibilità dei vicini.

Manutenzioni e tempestivi interventi sono indispensabili, ma credo ancora che dialogare con il motore sia un esercizio mentale indispensabile per stabilire il rapporto intimo con gli organi vitali che lo compongono.

Non sono un visionario e ve lo dimostro.

Le cineteche sono piene di films che raccontano di direttori di macchina di navi mercantili o da guerra che, sudatissimi e accalorati dall’ansia, implorano i motori di ripartire e armatori di carrette fluviali che sussurrano e supplicano il riavvio dei pistoni per sfuggire ai nemici o per evitare le rapide.

Al cinema tutto è portato all’eccesso, mentre nella nostra quotidianità, se il motore sta già camminando regolarmente non servono lunghe disquisizioni, ma bastano semplici puffetti d’incoraggiamento. Avete presente quelle battute che inconsciamente è solito fare il proprietario della barca quando, rivolgendosi agli ospiti di bordo, in realtà gratifica la macchina con le espressioni del tipo: “al primo colpo“, “senti come … canta bene“, “ha un suono rotondo“, e poi compiacendosi va a concludere “è veramente un ottimo motore“. Vi sembra che stia parlando con voi, ma in realtà il destinatario dei complimenti è un altro: sarebbe come “dire all’ospite affinché il motore intenda“.

Buon vento.

Gennaro Coretti

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