La candidata agli esami si era dimostrata immediatamente ottima per questa circostanza fuori stagione, poiché Boris, il marinaio che l’aveva allestita e ci attendeva nel Marina di Isola d’Istria, aveva per tempo messo in funzione il riscaldamento. Sissignori, era esattamente come a casa propria o come s’usa nelle seconde case, dove viene scelta la soluzione ad aria calda molto pratica e tempestiva per intiepidire e rendere confortevole l’ambiente interno in pochi minuti. Non eravamo su un transatlantico, ma su un semplice sloop di 37 piedi, cioè una imbarcazione lunga poco più di 11 metri fuori tutto.
A dire il vero temevamo molto il freddo, poiché alcune schiarite in lontananza, verso nord est, annunciavano il cambiamento in atto che, come avviene sempre in questa zona, dopo lo scirocco fa girare sempre il vento in bora. Ma sapevamo anche che era ancora presto perché ciò si avverasse e, con qualche brividino in più, avremmo beneficiato di un venticello più gagliardo, per cui ci dovemmo accontentare di quei risicati 6 o 7 nodi che tutta la ciurma ha poi amministrato con saggezza e perizia per dare alla barca l’andatura sufficiente ad essere ritratta da un fotografo che ci seguiva da un motoscafo d’appoggio.
La barca era quella che si definisce “un crociera-regata” ma con marcate ambizioni corsaiole per l’invelatura generosa e particolarmente tecnica. Infatti non s’è fatta pregare e, gonfiate le vele nuove fiammanti, ha incominciato a galoppare sui residui di un’onda lunga da sud sud-est che, sebbene fosse ormai stanca, continuava la sua corsa fino ad infrangersi nel golfo di Trieste.
Mentre tutti gli altri a bordo si confrontavano elaborando valutazioni tecniche, aggiustavano al millimetro le vele e non toglievano lo sguardo dai filetti del genoa io, come al mio solito, mi distraevo per godere di ciò che mi stava intorno e che tutti gli altri, troppo indaffarati, non coglievano.
Vicino alle “pedocere” di San Bartolomeo, cioè nel mezzo degli allevamenti di cozze che si estendono tra il Lazzaretto e Porto San Rocco ci sono sempre, anche in inverno, degli intrepidi pescatori che su barchette minimali, si aggirano tra i bidoni di sostegno con la lenza, che qui chiamano “ togna”, dove sanno che certamente pascolano le orate e altri pesci particolarmente ghiotti di mitili, che un po’ distratti, finiranno ad abboccare all’esca filata a mezz’acqua.
Più al largo, esattamente dove corre il limite confinario tra la Slovenia e l’Italia, intravedevo addirittura una decina di barchini, tutti intenti alla pesca. Miran, pescatore per diletto, che fa lo skipper di barche a vela per professione e il conduttore di motoscafi per chi vuole tentare al largo la cattura di prede più sostanziose, aveva intuito il mio interesse e mi aveva sussurrato “ là xe solo moli “. Il “molo” , detto anche “merlano” è un pesce non molto pregiato, simile al “nasello” che trova la sua unica degna fine se viene insaporito dalla frittura. A me non piace e, dal tono usato, non credo piacesse nemmeno a Miran. Cambiai scenario.
Il sole era pallido e non riscaldava abbastanza: il freddo pizzicava il naso e mi accorsi di aver dimenticato i guanti a casa.
Una petroliera enorme diretta al terminal dell’oleodotto emise un fischio: ce l’avrà mica con noi? Pensai senza parlare e il mio dubbio si risolse ben presto. Due lugubri fischi ruppero il silenzio intorno a noi. Per prudenza virammo comunque e chi era al timone diresse la prua verso Porto San Rocco dove ormeggiammo poco prima che facesse buio. Andare in barca d’inverno per me è talvolta più affascinante che d’estate: navigando poco lontano dalla costa assaporo la solitudine, incrocio solo veri marinai e nel porto non mi sento oppresso da folle oziose di marinai-so-tutto-io e poi apprezzo molto meglio il sapore del salame, del formaggio e, se c’è, un buon bicchiere di Refosco.
Buon vento.
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