Se “navigare necesse est“ i miei dieci affezionati lettori mi perdoneranno questa navigazione insolita.
Ero uscito di casa (io abito a 30 chilometri dal mare) ed ero poi salito a bordo e avevo navigato per più di un’ora da Mereto di Capitolo a Morsano di Strada (sono paesetti distanti meno di 5 chilometri in linea d’aria), facendo rotta su Felettis, Gonars e Castions di Strada (sono altri borghi della pianura friulana, che distano appena 2 o 3 chilometri uno dall’altro).
Ora aspetto che qualcuno mi contesti il fatto che qui in campagna non c’è l’acqua! Abbiate un po’ di pazienza e vi dimostrerò che c’era anche quella, ma sarà molto meglio andare con ordine.
Non erano ancora scoccate le otto e mezzo del mattino quando sul campo d’erba medica, confinante con la mia casa, si posa una mongolfiera coloratissima, enorme, con la cesta per i navigatori appesa sotto.
Il presentimento si trasforma ben presto nella certezza di trovarmi di fronte al nuovo “pallone” dei figli del mio amico Giuliano; e ogni mio dubbio svanisce quando distinguo, proprio dentro la navicella di vimini, lui l’avvocato, cioè il padre dei due allievi argonauti: Stefano e Dario.
Ricordavo che, non molto tempo prima, Giuliano mi aveva confidato che i suoi figli avevano intravisto che, anche nella più remota provincia italiana, come nel resto d’Europa, ci sarebbero stati degli sbocchi professionali per questa attività.
Si sarebbero potuti organizzare i voli pubblicitari per manifestazioni, per le fiere o le salite panoramiche , per ammirare la Stella a nove punte della Fortezza di Palmanova.
Fatto sta che questi avventurosi argonauti, assistiti da un istruttore, pilota veterano di aerostati, erano decollati (in quattro sul “pallone” e uno a terra con il furgone d’appoggio) da una avio superficie poco distante da casa mia ed erano approdati, casualmente, nel campo del mio vicino.
Al motto che “essere grasso è brutto ma essere pesante può essere utile” sono stato gentilmente “pregato” di contribuire alla stabilizzazione della navicella sul terreno e, forse come ricompensa, mi hanno poi invitato a salire a bordo in surroga dell’amico avvocato.
Ecco come ha avuto inizio la mia prima meravigliosa navigazione … aerea. Confesso che quando gentilmente mi avevano sussurrato “Ti piacerebbe provare?”, io non ho risposto altrettanto sotto voce ma ho urlato un “Siiiiii” che è durato a lungo. Ci siamo alzati in volo e dopo pochissimi minuti potevo già vedere il furgone bianco che si allontanava e che ci avrebbe seguito, mentre la mia casa diventava sempre più piccola. Dario (allievo) iniettava ritmicamente del fuoco nel ventre della mongolfiera e Alberto ( l’istruttore), con l’esperienza di centinaia di ore di volo, lo incitava con “bene così, vai che vai bene eccetera, eccetera”.
Che cosa c’entra tutto ciò con le mie solite storie di mare? C’è stato anche chi ha simulato una nave volante!
C’entra eccome: il protagonista è sempre il vento. Lo stesso elemento che gonfia le vele, ma in questo caso Eolo domina perché non c’è il timone che ti indirizza, a bordo disponi solo di aria calda che, aggiunta o tolta, ti fa scendere o salire individuando le correnti in quota che, a varie altezze, cambiano direzione.
Dove sono? Che cosa facciamo? mi chiedevo durante questa navigazione straordinaria! Per rendermi consapevole di ciò che stava accadendo, mi comunicano allora che stiamo navigando a 120 piedi da terra (circa 40 metri) sulla mongolfiera Golf – 3 Yankie Lima Xray, alta 30 metri, con un volume di 3000 metri cubi, costruita solo un mese prima in Inghilterra. Questo a cui partecipavo era il suo secondo volo libero e, con me a bordo, eravamo diretti là … e non si sapeva esattamente dove il vento ci avrebbe portato.
A un certo punto la torre di controllo dell’aeroporto di Ronchi dei Legionari ci chiama e vuol conoscere la nostra posizione esatta per cui l’istruttore, che non era friulano, è stato costretto a chiedere il mio prezioso aiuto: “Siamo sopra Felettis di Bicinicco” ho scandito le parole come se declinassi la longitudine e la latitudine con l’orgoglio mal celato della guida indigena: ero il navigatore esperto che sapeva orientarsi.
Intanto guardavo la gente che usciva dalle case e ci salutava, i cani abbaiavano impazziti e le automobili rallentavano quando abbiamo sorvolato le strade. Si udivano le voci che salivano, si distinguevano le singole parole anche di chi, colto da entusiasmo, ci invitava a scendere nell’orto, mentre io e gli altri argonauti rispondevamo con gesti delle braccia ai loro saluti.
Alberto, l’istruttore, mi aveva fatto notare come la mongolfiera fosse “l’unico mezzo di locomozione che ti consentiva anche di colloquiare con le persone” ed era proprio vero. In barca devi arrivare all’ormeggio per poter dialogare con chi sta a terra.
“No grazie” abbiamo risposto alla signora che ci voleva offrire un caffè e abbiamo proseguito, spinti dal vento, verso l’abitato di Gonars di cui già s’intravedeva il laghetto. Alberto ha ricordato a Dario che avevano nel programma di addestramento un “touch and go“, cioè un quasi atterraggio con la ripresa in quota. Eravamo ormai giunti nei pressi del laghetto quando mi avvertono che avrei goduto dello spettacolare riflesso del pallone sullo specchio acqueo.
Ho visto infatti gli spicchi gialli e blu specchiarsi sulla superficie dell’acqua proprio mentre Alberto comunicava a Dario che avremmo potuto “quasi” sfiorare il lago, senza toccarlo naturalmente: infatti la mongolfiera è scesa silenziosa e ( un po’ troppo) velocina verso l’acqua; Dario pompava fuoco nel ventre del pallone e sembrava, perfino a me, che fosse già un po’ troppo tardi. La cesta ha effettuato un autentico “splash down” immergendosi nell’acqua per più di mezzo metro. Dario bruciava propano a manetta per risollevarci, incitato pacatamente dall’istruttore e, per un attimo, lo confesso, mi era venuto il dubbio che non ci riuscisse, poi finalmente ho percepito con sollievo che stavamo, molto lentamente, uscendo dall’acqua del lago e ho intravisto sul fondo della “navicella” due “ombrinali” che scaricavano acqua e hanno continuato a scaricare acqua anche quando eravamo nuovamente in volo. “Navicella” e “Ombrinali“ non vi sembrano termini familiari? Spargevamo la nostra piccola pioggia sull’abitato di Gonars e chi stava sotto non si meravigliava e continuava, bontà loro, a salutarci.
L’ allievo Dario era imbarazzato, contrariato e nervoso poiché si riteneva il solo e unico responsabile del bagno delle nostre scarpe, delle calze e del fondo dei nostri pantaloni: un autentico emozionante fuori programma.
L’istruttore minimizzava e sottolineava che questa avventura avrebbe arricchito la sua esperienza di volo. Io, nonostante tutto, me la godevo! Abbiamo toccato terra poco più tardi a Morsano di Strada (siamo sempre nella pianura friulana, sempre a 30 chilometri dal mare, sempre sopra paesi e villaggi) nell’unica “isola” d’erba medica in un immenso “oceano” di mais. E’ stato qui che abbiamo “disarmato” la “navicella” e “ripiegato” (stavo per dire la velatura) il pallone.Tutto è stato ordinatamente caricato sul furgone per far ritorno a casa, dove abbiamo allegramente celebrato e bagnato (ancora?) la mia navigazione in aerostato.
Si son sprecati i bravo e i grazie a Dario e ad Alberto e anche all’Avvocato che mi aveva ceduto il suo posto a bordo e l’amico, brindando solennemente, così ha commentato la mia navigazione: “poteva essere certamente prevedibile che, navigando con te, si finisse inevitabilmente nell’acqua“. Buon vento.