Nodi in barca: perché sono importantissimi sia in fase di ormeggio che in navigazione
Oltre a raddoppiare la forza del vento, l’altezza delle onde e il peso dei pesci pescati, un’altra delle classiche “sparate” da marinaio riguarda senza dubbio i nodi.
“Io la gassa la faccio con una mano sola, dietro la schiena, bendato, lanciando la cima in aria” e cose del genere potreste sentirle spesso se vi avvicinate al mondo della nautica.
La verità e’ che i nodi sono importantissimi in barca. Devono potersi fare velocemente, devono poter sopportare grosse tensioni, devono sciogliersi velocemente quando lo si vuole, ma non prima.
E in buona misura queste sono tutte questioni di sicurezza, quindi non si scherza sullo sciegliere il nodo piu’ adatto alla situazione. Ma in condizioni normali, sono pochi i nodi che si utilizzano veramente in barca.
All’origine di tutto c’e’ il mezzo collo, che può essere utilizzato per gli scopi più svariati. Se lo si chiude diventa un nodo semplice, quindi d’arresto, può fare da “sicura” per molti altri nodi, e si può anche fare una serie di mezzi colli quando avanza troppa cima da qualche nodo per non farla ciondolare.
Se si fanno due mezzi colli, uno dietro l’altro, attorno alle draglie per esempio, si ottiene il nodo parlato, il classico nodo utilizzato per i parabordi (consigliato chiuderlo con un gancio!). Non si capisce bene quale sia l’origine del nome. Se avete idee fatecelo sapere!
Il nodo piano è sicuramente quello più veloce per congiungere i due capi di una cima, o due cime, ed è decisamente uno dei fondamentali. Fondamentale è anche il nodo savoia, principe dei nodi d’arresto, che a seconda delle diverse scuole di pensiero è presente o meno alla fine delle cime per arrestarle sui winch o anche sui bozzelli in caso di necessità.
Il piano e il savoia vantano un enorme successo anche come disegni per tatuaggi, e secondo me non e’ un caso. Inutile anche ribadire l’importanza assoluta del nodo di bitta, con esso ormeggiamo la nostra barca in porto.
L’incubo di tutti i neofiti è la gassa d’amante, la cui utilità è innegabile in barca per l’ormeggio, per unire le cime a cavi, ganci, grilli & company, per armare le borose sul boma, e praticamente per qualsiasi cosa vi venga in mente.
Io lo uso anche a terra, quando devo mettere il guinzaglio al cane (ovviamente uso una cima…), per legare il sacco a pelo alla valigia, ed è utilissimo se si rompe la tracolla di una borsa: basta avere una sagola o un pezzetto di cima (chi non ce l’ha in borsa di questi tempi?!) e si rimedia in un secondo.
Per imparare a fare una gassa c’è la famosa vecchia storia del serpente che esce dal laghetto, gira intorno al tronco e rientra nel laghetto (anche nella versione coniglietto per i piu’ romantici), che e’ molto utile all’inizio, ma poi il mio consiglio è che ve la dimentichiate.
A me hanno insegnato che ogni nodo va “capito”. Bisogna capire qual è la funzione che deve svolgere, qual è la giusta posizione del dormiente e del corrente, qual è il modo migliore per scioglierlo in fretta (dote fondamentale del nodo, tagliarli non e’ bello).
Una volta capito non ve lo dimenticherete più, e troverete il modo di farlo che vi è più comodo.
Mi permetto di aggiungere una nota puramente estetica. Durante i lunghi pomeriggi sotto il tendalino, nonchè durante le lunghe navigazioni, o quando avete bisogno di meditare un po’, cimentarsi con un nodo complesso è un’ottima idea per passare il tempo in maniera molto costruttiva.
Alla mezzeria della ruota del timone, ad esempio, niente si addice meglio di un nodo chiamato testa di turco: un continuo intreccio che sembra non avere né inizio né fine, e che vi terrà occupate le mani e la mente per un bel po’…