Il nodo Parlato: un nodo che si fa anche sotto tensione

Utile, semplice, realizzabile in pochi secondi e, cosa non da poco, eseguibile anche con la cima sotto tensione. E’ la carta d’identità del nodo parlato, utilizzato soprattutto per fissare o rizzare qualunque genere di cosa sia presente a bordo, dai parabordi alle matasse di cima.

Molto semplice, ma evidentemente non sempre eseguito perfettamente vista la gran quantità di parabordi che si avvistano alla deriva.

Nella sequenza vediamo qual è l’esecuzione del nodo nel caso più frequente, quello in cui dobbiamo fissare un parabordo. Partendo da una avvertenza: presa la misura giusta, quando si esegue il nodo è meglio che il parabordo sia poggiato in coperta. La possibilità che ci sfugga di mano lasciandolo penzolare fuori bordo non è poi così remota.

Quindi, con il parabordo in sicurezza, facciamo passare il corrente sopra la draglia riportandolo e poi sotto riportandolo verso l’interno.

A questo punto il corrente passa dietro al dormiente e ancora sopra la draglia.

Passato sopra la draglia, il corrente rientra passando fra la draglia e il dormiente.

Il nodo a questo punto è fatto. Con entrambe le mani si serra lasciando abbondante cima fuori dal nodo. Infine, si può chiudere con un ulteriore collo in modo che ci siano meno possibilità che si sciolga.

Il nome sembra che venga dalla parola latina “par” ossia doppio. E in effetti si esegue facendo due colli paralleli, raddoppiando cioè il primo collo.

Esiste anche la versione del nodo parlato ganciato, che si realizza nell’ultima fase facendo passare il corrente a doppio all’interno del secondo collo. Ma attenzione, non è sicuro. Lo si può utilizzare solo in modo provvisorio. L’obiettivo è quello di poterlo sciogliere molto velocemente tirando il corrente. Ma lo si può usare solo per fissare momentaneamente un parabordo volante o un tendalino. 

Nico Caponetto

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