E’ lapalissiano quindi che il “patentato”, pur fingendosi motivato da un astruso vincolo burocratico, in certe circostanze si senta intimamente gratificato di possedere la “carta” che lo distingue dagli altri naviganti. Non ne fa continuo sfoggio, ma, in certe occasioni, con chi ritiene opportuno, si lascia scappare la trionfale ammissione ” … ma io ho la patente!”. Se poi, come avviene in una partita a poker, l’altro rilancia un “anch’io!” il nostro patentato si fa spavaldo, e se può, sentenzia orgogliosamente “la mia è … oltre!”. Avete capito? Forse no.
Siamo capitati in un dialogo fra iniziati che si riconoscono palesando i codici segreti di una gergalità nota a pochi eletti.
La patente nautica è sostanzialmente un documento indispensabile che si esibisce a richiesta delle autorità preposte ai controlli, ma che diventa un simbolo per gli amici, i vicini d’ormeggio e per tutti gli altri che, ad occhio, misurano la lunghezza della barca o stimano la potenza dei motori.
Ecco che quel documento, da alcuni anni rigenerato in una carta magnetica di plastica, simile alle tante altre che affollano il nostro portafogli, è supportato da un’infinità di norme che, in gran parte derivano dal codice della navigazione, ma anche da altre leggi dello Stato italiano.
Infatti per il nostro legislatore, ai fini dell’applicazione delle norme del codice della navigazione, dei relativi regolamenti e delle altre leggi speciali, le imbarcazioni da diporto sono equiparate a ogni effetto a navi mercantili di stazza più limitata.
Ed ecco che qui scatta il marchingegno per cui il criptico “oltre”, che tradotto per i comuni mortali significa “oltre le dodici miglia dalla costa”, contemporaneamente diventa anche “senza altri limiti” ed eleva il patentato di questa categoria alla conduzione di imbarcazioni “alturiere” che, nel significato comune della nostra disciplina marittima, equipara il semplice “patentato” al “comandante” di un transatlantico con onori, ma anche con gli oneri che tale incarico comporta.
Che ciò sia giusto o che non lo sia affatto lascio a voi deciderlo, comunque, per la legge italiana il nostro patentato, comandante di un’imbarcazione, trovandosi in alto mare, sarà investito dell’esercizio di poteri che gli vengono trasmessi direttamente dallo Stato e che dovrà esercitare in virtù del titolo che gli deriva dalla sua posizione a bordo.
Il comandante assume i poteri
Qualcuno sorriderà sotto i baffi e penserà che queste attribuzioni siano solo esagerazioni, ma vi assicuro che non è affatto così se si considera che su determinate imbarcazioni l’autorità portuale ha espressamente sancito sui documenti di navigazione quale debba essere il numero minimo d’equipaggio necessario alla navigazione in sicurezza di un’imbarcazione.
Così facendo, anche se il numero è banalmente piccolo, cioè di due persone, si è di fatto determinata una gerarchia per la quale uno sarà il comandante e un altro obbligatoriamente dovrà considerarsi sottoposto al primo, mentre ogni altra
“Andiamo a fare un giretto in barca?” assume così diversi significati in relazione a chi pronuncia l’invito.
Si colora di piena responsabilità per chi dovrà condurre l’imbarcazione oppure presuppone la cieca obbedienza per chi invece verrà semplicemente trasportato. Se i documenti di bordo dovessero prevedere un equipaggio minimo di due persone, chi s’imbarca, unico e solo con il comandante, dovrebbe assumere coscienza che, mollando gli ormeggi, si sottoporrà alla potestà del comandante, che avrà il diritto di pretendere da quel unico membro dell’equipaggio una efficiente partecipazione alle manovre.
“‘Vieni in barca?” non sarà più quindi un invito da cogliere con estrema leggerezza, quanto meno dovrà essere preceduta da altre interrogazioni propedeutiche, quali ad esempio “Chi comanda?”, “Quanti uomini in manovra?”, “Passeggero o equipaggio?” e, se non proprio direttamente a Lui, ma con estrema cautela e circospezione, sarà prudente chiedere a chi altro può saperlo … “ma é veramente capace questo comandante?” Buon vento.
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Dalla lettura del Vs articolo, mi è sembrato di percepire una lieve nota di ironia. Innanzitutto mi presento: sono nato a Lipari e mio nonno già alla tenera età di 9 anni mi ha insegnato andare in mare con "u vuzzu" (gozzo) a vela latina. Giovincello sono entrato a far parte della famiglia della M.M.I.- ruolo "naviganti". Fatta questa doverosa premessa, ritengo che, quando si riesce ad avere la famosa "patente" (termine automobilistico) senza limiti, se da una parte, burocraticamente parlando, si è abilitati AL COMANDO di una barca senza nessun limite dalla costa, in pratica andare per mare aperto c'è ne passa! Mi hanno insegnato che un galleggiante superiore a 3,5 m, in tempi lontani doveva essere annotato sul Registro dei Galleggianti ( altro che popolo di navigatori....),fino ad arrivare in tempi molto lunghi a 5, 6, 7,5 e con l'imposizione a livello commerciale della Comunità Europea ai 10 m con vela e motore ausiliario <....Ho voluto evidenziare questo particolare perché il Ministro competente di allora si era preso il merito di aver concesso (bontà sua) questo allungamento dovuta, invece, ad una norma esterna. Devo aggiungere che nel nostro linguaggio marinaresco è stato introdotto "abusivamente"ill termine "skipper", parola che non esiste nel nostro Codice della Navigazione (ed marzo 1942). Anche se qualcuno non lo vuole dire o lo dice a denti stretti il termine italiano (e, per favore, parliamo italiano) è COMANDANTE che va da chi conduce la barchetta da 3,5 m fino a..... Sono un velista ed ho partecipato a diverse regate in Inghilterra a Cowes, isola di White e vi posso assicurare che in questi posti chi va per mare o è veramente marinaio o va a smuovere le zolle (mi perdoni la categoria) La loro legislazione nautica, infatti non prevede nessun titolo per condurre una imbarcazione fino a 24 m. (Tradotto terra terra: se sei bono naviga, diversamente. ..)Ovviamente fermo restando le responsabilità penali e civili risultanti da un disgraziato incidente.. Da noi, putroppo, siamo tutti figli deficienti, dove la mammina - Stato Italiano - ti detta quali e quanti ammennicoli devi avere a bordo. Ripeto sono un umile marinaio, ma in quest ianni per andare in mare mi sono laureato in giurisprudenza e fra un un po dovrò completare l'altra in medicina e chirurgia dopo l'introduzione della nuova cassetta dei medicinali. Scusate lo sfogo ma non posso ricordare una frase del poeta Charles Baudelaire: Uomo LIBERO, tu amerai sempre il mare!
Bravo, ben scritto e concordo pienamente.
solo chi veramente ama il mare, si sente veramente un uomo libero, ed il ''Capitano o comandante'' e' responsabile di ogni singola persona, discendo per tradizione da gente di mare, papa' era un capitano marittimo, cosi' come lo erano i suoi avi, vecchio lupo di mare (di cui ne sono fieramente orgoglioso) orgoglio che ho trasmesso ai miei figli9, ma che mi ha impedito con tutti i mezzi di continuare la tradizione di famiglia, c'e' riuscito, ma l'amore per il mare rimane, patente nautica oltre le venti miglia poco sfruttata visto il mio trasferimento al nord per motivi di lavoro da tanti anni (sopravvivenza per me e la mia famiglia) e come ha detto Giovanni, dentro e fuori si rimane un vero marinaio, o meglio o ce l'hai dentro il tuo cuore nell'animo e nello spirito, o ............................... GRAZIE Giovanni per le parole che hai scritto meritano veramente tanto, saluti
P:S: anch'io provengo dalla nostra amata isola, molto piu' A SUD di LIPARI
ho un piccolo quesito da porre spero ricevere una risposta. Si tratta di questo imbarcazione 8 metri due motori entro bordo da 150 CV. a ridosso oltre i 100 metri dalla scogliera (l'imbarcazione ha persone a bordo che prendono il sole) ancora ben presa da controlli GPS non si muove di un millimetro. Può il comandante, per provare altra barca, sentire se il motore gira correttamente, lasciare temporaneamente la sua imbarcazione con ospiti e familiari per fare una verifica nel raggio di 500 mt.? o incorre a sanzioni? grazie