Sempre più raro in Mediterraneo, il dentice corazziere continua ad avere dei buoni focolai del suo areale nel sud Italia, in special modo in alcune aree della Calabria e della Sicilia e lungo le coste nord dell’Africa. Ancora piuttosto numeroso nella zona dello stretto di Gibilterra, dove è preda molto ricercata, è anche presente in molte aree dell’Atlantico, tra il Portogallo e l’Angola.
Il nome latino è Dentex gibbosus, nome datogli dalla tipica gibbosità ossea nella zona frontale che caratterizza molti degli individui adulti. Pesce dalla livrea di rara bellezza, gli esemplari giovani si distinguono per alcuni raggi spinosi delle pinne dorsali, che possono essere molto allungati e caratteristici, e per un rosa molto acceso. Questo rosa, negli esemplari adulti, si trasforma in un rosso vino che sfuma nel grigio macchiettato, in maniera più o meno evidente, da piccole chiazze nere: dato il loro colore e considerata la loro ben nota rarità, potremmo forse definirli, a buon ragione, i rubini del Mare Nostrum.
Dove cercarlo
E’ un pesce che frequenta secche rocciose, relitti, come anche aree fangose dove si distinguono singoli gruppi di pietre, o anche pietre isolate. Questo è un aspetto molto importante su cui concentrare la nostra attenzione, infatti, essendo un pesce molto delicato sotto alcuni aspetti biologici che poi affronteremo, spesso non sarà intorno alle secche più gettonate e famose che riusciremo ad ottenere pescate memorabili.
Piuttosto, credo, sia importante dedicare molto tempo nella ricerca di spot poco conosciuti dagli altri pescatori e che possono regalare ottimi carnieri. Molto spesso i corazzieri si muovono in branchi ed è frequente avere numerose catture una dietro l’altra, non appena localizzato il luogo dove sono in attività.
Questi posti possono essere piccole secche poco battute, pietre isolate che richiamano pesce foraggio in un’area fangosa, o interessanti risalite del fondale magari trascurate da altri pescatori.
Come cercarlo
Per velocizzare la ricerca di questi spot interessanti, da qualche tempo esistono degli ecoscandagli che, utilizzando la tecnologia Chirp, possiedono la modalità DownVision, funzione che può essere utilizzate in alcune condizioni fino ed oltre i 100 m di profondità. A differenza dei classici fishfinder, tale funzione nasce per la ricerca di spot più che per la ricerca del pesce, contando su un fascio a ventaglio (potremmo dire un cono ellittico di lettura) che ha un’apertura di 1,4° lungo l’asse minore dell’ellisse e un angolo di 60° lungo l’asse maggiore. Il cono, essendo così ampio, ci permette di intercettare gli spot che cerchiamo anche molto lateralmente rispetto alla verticale dell’imbarcazione sul fondo. In quest’ultima modalità, forse un buon consiglio è quello di scandagliare i tratti di mare interessanti navigando almeno intorno ai 3/4 nodi. Poiché il grado di apertura del cono lungo l’asse minore è 1,4° (ovvero, piuttosto stretto) andare molto piano con l’imbarcazione non aiuta la scansione del fondale e dunque una lettura del fondo molto definita e vicina alla realtà.
Specie biologicamente delicata
Non è certo un pesce semplice da localizzare e per tale ragione gli spot validi, che spesso sono buoni ogni anno nello stesso periodo, vanno tenuti a mente e gelosamente custoditi come fossero i forzieri di un importante tesoro. Questo è un pesce che risente molto delle pressione di pesca, tanto della professionale come della pesca sportiva. E’ proprio questa la ragione per la quale i luoghi che ora lo ospitano sono sempre meno e certamente sono quelli meno antropizzati e battuti.
E’ un pesce ermafrodita, dalla biologia molto complessa e intorno alla quale c’è ancora molta ignoranza. Dopo un recente confronto con il mio amico Marco Seminara, Prof. di Idrobiologia presso l’università Roma 1, posso asserire con certezza che sul suo ermafrodismo ci sarebbe da parlare molto, infatti, studi fatti in aree diverse, riportano dati in conflittualità tra loro, indice che questa specie, chiamata pink dentex in inglese, non ha uno stesso comportamento biologico nelle varie zone del suo areale.
Per fare alcuni esempi, nella popolazione dell’isola di Madeira, le biologhe Alves e Vasconcelos non hanno notato alcun ermafrodismo, invece, il biologo Grubisic parla di ermafroditismo rudimentale nei pesci della Croazia, Bonnet riporta che i corazzieri della costa nord ovest dell’Africa si distinguono per ermafroditismo proterandrico, ovvero gli individui prima sono maschi e poi si trasformano in femmine. Al contrario, come sembra che sia in alcune parti del Mediterraneo e nelle isole Canarie, Il biologo Pajuelo e Lorenzo indicano che la specie si distingue per ermafrodismo proteroginico, ovvero, gli individui hanno una prima maturità sessuale come femmine, per poi diventare maschi. Se in alcune zone del Mediterraneo questi pesci si caratterizzano per avere un ermafrodismo proteroginico, si può forse intuire il perché questo pesce possa essere così biologicamente delicato.
Sembra infatti che molti degli esemplari giovani con l’arrivo del loro quarto anno di vita, e toccati i 45/55 cm di lunghezza, raggiungano la prima maturità sessuale come femmine per poi, in seguito, cambiare sesso. I pesci più piccoli sono particolarmente voraci, e attaccano con facilità molte esche, sia naturali che artificiali e vengono del tutto decimati dai palamiti armati con un gran numeri di ami (andando spesso contro le leggi) innescati con strisce di seppia, calamaro o sarda. Si intuisce con facilità quale danno si possa fare se ogni volta che ci troviamo tra le mani un piccolo corazziere, che appunto è un femmina, decidiamo di trattenerlo. E allo stesso modo si può facilmente intuire quale forte impatto la pesca professionale abbia avuto su questa specie, ormai sempre più rara.
Un corazziere cresce in maniera piuttosto lenta, secondo studi comparati effettuati in varie zone del Mediterraneo e dell’Atlantico, si è notato che per raggiungere la lunghezza di circa 90 cm, un corazziere impieghi 16 anni! Insomma, capite bene che una volta che tali pesci vengono eradicati in maniera massicci da una data area, la possibilità che nell’arco di poco tempo si possano ripescare grossi esemplari è del tutto remota.
I corazzieri, come anche i dentici comuni, sono spesso soggetti all’estroflessione dello stomaco legata allo sforzo durante il combattimento che si abbina al barotrauma che subiscono durante la risalita. Perciò, qualora non fossimo costretti a forzare il pesce in maniera esasperata, a causa di rocce taglienti sul fondo o relitti, possiamo optare per recuperare qualche pesce in maniera più cauta e lenta riuscendo a salpare qualche esemplare che non presenta l’estroflessione dello stomaco. Se ciò dovesse avvenire, credo non sia affatto sbagliato restituire lui la libertà, magari dopo aver scattato una bella foto ricordo.