Non si è perso un giorno di NavigaMi, Piero Formenti, fondatore della Gommoni Zar Formenti, e vicepresidente Ucina. Pioggia o sole ha preso parte all’evento nautico milanese in doppia veste di imprenditore e di rappresentante istituzionale dell’associazione di categoria che raccoglie anche molti produttori di imbarcazioni di piccole dimensioni.
Quindi, com’è il Salone nautico di Milano in versione 2017?
Il NavigaMi non nasce come un salone, è più un evento in cui ci si ritrova in un bel contesto a parlar di barche. Tuttavia nel tempo è sempre più fiera, con clienti già attivi, ma anche potenziali che chiedono informazioni sui prodotti esposti, che ora sono in acqua e ben visibili. Per dire, anche con la pioggia è venuta gente apposta a chiedere.
Insomma, scelta felice…
Un appuntamento del genere qui a Milano ha molto senso: nella nautica minore c’è tanto lavoro in Lombardia, sia di accessori sia di produttori, è giusto che abbiano possibilità di farsi conoscere proprio localmente. Anche per questo il comune e la regione dovrebbero investire sul NavigaMi, che contribuisce a dare valore al lavoro di riqualificazione intrapreso sulla darsena. Non chiediamo neanche finanziamenti pubblici: sarebbe sufficiente fare pagare meno chi decide di stare qui: il 70% della spesa degli espositori è per l’occupazione di suolo pubblico. Penso che si potrebbe fare qualcosa in questo senso. Anche perché il maggiore afflusso di persone e l’indotto generato da questo evento sono di grande giovamento per la città.
Come espositori cosa aete portato al NavigaMi 2017?
Uno Zar 65 classic luxury; uno Zar 75 classic, ma molto allestito; due “zarrini”, un Fun 6’ e uno Zar 7, e infine lo Zar Mini Rib 16’ che ha completato il Giro d’Italia, da Genova a Milano, passando per Venezia, che tanto seguito ha avuto sui social.
Due parole sul Giro d’italia…
è partito da un’idea di Virginio Gandini, presidente del club del gommone di Milano. Zar e Suzuki si sono subito associati come sponsor tecnici all’iniziativa, insieme a Nautisport che ha mostrato il gommone. Con questa iniziativa si è dimostrato che con un piccolo gommone lungo cinque metri e motorizzato con un 40 cv, quindi senza neanche il bisogno della patente, o in altre parole, un oggetto che costa 14mila euro, chiunque può fare il giro delle coste italiane in sicurezza.
Un assist alla nautica popolare?
Che è il grosso del mercato italiano: l’80% dei motori venduti sono 40 cv o meno, significa che il parco navigante è costituito da natanti, non da megayacht. In Italia, la nautica è associata ai ricchi, un po’ perché siamo i primi produttori al mondo di megayacht e un po’ perché non c’è conoscenza del reale stato in cui ci troviamo, ma la nautica popolare c’è. E c’è un ulteriore punto di vita che dovrebbe rendere più popolare la nautica (inteso come più conosciuta): ogni dipendente che lavora nella cantieristica nautica italiana ne genera altri sette per lavori derivati e correlati.
Quali sono le caratteristiche distintive di uno Zar?
Alcuni elementi strutturali come la prua in vetroresina, o la carena che va da filo cono di poppa alla ruota di prua; il maniacale sfruttamento degli spazi, e l’ugualmente maniacale studio dell’ergonomia. E poi abbiamo puntato su un aspetto molto italiano, l’attenzione al design. Uno Zar, sin dai primi modelli, non doveva essere solo funzionale, ma anche bello.
Oggi i motoscafi open praticmente non ci sono più, si può dire che il gommone è l’open del XXI secolo?
Non l’avevo mai pensata in questi termini, ma sì, si può dire. Costa un po’ di più a parità di dimensioni, ma è più sicuro: è stabile, inaffondabile, spazioso… anche all’ormeggio in rada la gente si può muovere più liberamente senza pensare a come ballerà la barca, cosa che invece succede sui motoscafi più piccoli.
Ma perché deve costare di più?
Un gommone ha più contenti tecnici. Intanto ha il tubolare, che nei motoscafi non c’è. Una tecnologia nata negli Anni 50 e poi sviluppata nei 60, prima in Francia e poi in Italia dalla Pirelli. In seguito c’è stato il movimento milanese dei costruttori che ha portato il gommone a essere l’altra eccellenza italiana nel mondo. Il tubolare rende il gommone inaffondabile, ma questo elemento condiziona anche la carena in vetroresina: va modellata e strutturata per resistere alle sollecitazioni torsionali, per esempio quando l’opera viva affonda e il tubolare resta a galla.
Come imprenditore che augurio si fa Piero Formenti per i prossimi anni?
Più stabilità, per tranquillizzare le persone che così possono tornare a spendere sulla felicità, possono pensare al mare che abbiamo intorno. La sensazione di sicurezza è fondamentale per le nostre aziende: per vendere devono avere gene disposta a spendere in qualcosa in più. Ma quando c’è serenità allora la gente è più disposta a comprarsi una barca, un gommone o uno… Zar
La concorrenza serve?
È utilissima perché ci fa crescere, fa sviluppare la qualità e i processi produttivi per non essere troppo costosi rispetto a ciò che offri in confronto ai concorrenti. Serve anche per avere nuove idee o sviluppare nuovi mercati. Non va bene quella sleale: pratiche commerciali troppo creative o il mancato adeguamento alle normative. Faccio un esempio, il 18 gennaio 2017 è entrata in vigore definitivamente la nuova normativa CE ci sono tantissimi produttori che ancora non l’hanno applicata. Ci sono state difficoltà della nomina dell’ente certificatore, vero, ma molti non sanno neanche che esista, questa normativa: ho visto in più fiere gommoni senza targhetta CE, senza numero di matricola, senza neanche una numerazione della barca… ecco, mi augurerei più correttezza e rispetto delle regole, in questo senso.
Quanto vale all’estero il made in Italy
Vale tanto, negli Stati Uniti ho capito quanto una piccolissima nazione come la nostra sia apprezzata, sognata, invidiata. Per gli americani quando qualcosa è italiano, quando si parla di auto e nautica, oltre alla moda e agli accessori, il nostro tricolore è un’icona
Parliamo adesso con il vicepresidente dell’associazione di categoria: quali sono gli impegni Ucina del momento?
Sono molti, ora si combatte contro i dazi doganali, per esempio, ma ogni giorno c’è qualcuno che in parlamento vuole fare una legge contro “i ricchi della nautica”, non pensando ai danni che si fanno in globale. La famigerata operazione di Monti con il Decreto Salva Italia, insieme al terrorismo della Guardia di Finanza nei porti, ha portato alla morte il 92% del mercato interno! Si pensava di incassare 250 milioni sono stati incassati 14, per altro spendendone cinque per il recupero, ma con 900 milioni di gettito fiscale in meno dalle aziende fallite o in perdita, 40mila dipendenti in casa integrazione o disoccupati e, come ultimo, fine dell’indotto che si diceva prima del rapporto uno a sette che si diceva prima.
Purtroppo in molti casi i soci Ucina, che ringrazio sempre per essere soci, si iscrivono solo per lo sconto al Salone di Genova, altri invece capiscono che è il sindacato degli imprenditori. E che più siamo e più contiamo.
Qual è l’impegno di Ucina verso i diportisti per creare mercato alle aziende?
organizzare il salone nautico di Genova è un valore importante e un grosso sforzo da parte dell’associazione. Non è pensato per fare guadagnare il salone, ma per consentire ai cantieri di mostrare le proprie barche. Poi ora, spostato in acqua è ancora più bello; permette di fare provere barche anche a chi magari non le compra, ma è comunque utile, perché si diffonde l’idea che navigare è possibile, divertente e bello. Magari si diventa come in Francia: là uno che ha il suo barchino è uno che ama il mare, qua è un riccastro, probabilmente evasore, non si tiene mai conto di chi va in mare con barchini da cinquemila euro…
Poi supporta eventi come il NavigaMi, oppure iniziative tipo il Navigar m’è dolce, un progetto durato quattro anni, fino al 2015 per la diffusione della nautica per tutti; per consentire a chiunque di provare l’emozione di andare in barca attraverso un calendario di oltre 100 eventi sul territorio italiano.
Infine si occupa fare lobbing in Italia, in Europa e nel mondo per eliminare barriere e tassazioni e promuovere la notorietà.
Lo scisma di Nautica Italiana (l’altra ssociazione di categoria fondata da un gruppo di aziende fuoriuscite da Ucina, ndr), vi ha indebolito o siete forti nella stessa maniera?
Qualche disturbo lo ha creato, anche perché non si è capito bene su che basi chi se ne è andato lo ha fatto. Io sono fautore dello stare insieme, ma a volte le condizioni non lo permettono: spero davvero che tutto rientri.
Quanto è difficile unire le esigenze di chi costruisce barche da sei piedi e di chi realizza i 200’?
Non è facile, ma lo facciamo ancora (Sanlorenzo, Montecarlo Yachts, Overmarine, Permare, più gli accessoristi sono ancora tutti con Ucina). È vero, alla fine è difficile accontentare tutti, ma a livello di battaglie istituzionali da portare avanti non è che c’è tutta ‘sta differenza. Di sicuro, quando ci sono finanziamenti pubblici, per esempio, è difficile capire come dividere: in base al solo fatturato non è sensato, così come in confindustria non si dividono voti in base a fatturati. Magari sarebbe più sensato se i piccoli prendessero proporzionalmente di più anche se meno in assoluto: i piccoli produttori sono un valore aggiunto anche per i grandi, si comincia a essere armatori su barche piccole, poi si cresce.
Che cosa risponde a chi afferma che sia un controsenso che il presidente Ucina sia rappresentate di un machio straniero?
Non è un marchio straniero, è la proprietà, straniera: Montecarlo Yacht è un cantiere costituito tutto da italiani, con fatturato tutto italiano, e Carla Demaria è italiana. Detto questo si deve tenere presente che all’interno di Ucina ci sono anche importatori e distributori e, solo per fare un esempio, tutti i motori sono stranieri, il solo italiano è Selva, per altro l’unico fuoribordo europeo; così come ci sono ci sono importatori di marchi stranieri, in Ucina.
Anzi, io personalmente Ringrazio Demaria perché provenendo dal gruppo Beneteau aveva conoscenza di tutti i settori, barche medio grandi, barche piccole, barche a vela, motoscafi e ha avuto modo di conoscere anche l’associazione francese. Si chiama Carla Demaria, non Carlà Demarià, è italiana non francese: chi lo dice usa questo pretesto strumentalmente.