Le carene a redan spiegate da Ranieri International
Lo sviluppo delle carene è sempre stato un campo affascinante, a cavallo tra la matematica, i rigori della fluidodinamica, e l’intuito geniale dei progettisti. Un campo affascinante dicevamo, ma proprio per questo in grado di evocare accesi movimenti d’opinione, che nella nautica hanno un equivalente forse solo tra i velisti, quando la discussione passa dall’ineluttabilità delle leggi fisiche, al parere personale sull’opportunità o meno di quel taglio, o di quel profilo, in quella specifica situazione.
In questo contesto cade la scelta del cantiere Ranieri International, di dotare tutte le carene delle proprie imbarcazioni, ad esclusione dei gommoni, di uno scalino, o redan, che ne interrompe trasversalmente le linee di carena. Il sistema è stato denominato H.I.S., acronimo di Hull Innovative System. In realtà è una delle possibili elaborazioni moderne di un principio già sfruttato in ambiti limitrofi alla nautica da diporto. Lo studio delle appendici in acqua degli idrovolanti sin dagli anni venti, e lo sviluppo delle carene da competizione successivamente, hanno dato i maggiori impulsi alla comprensione di un fenomeno che sfugge ancora oggi ad una trattazione scientifica definitiva.
Una carena “teorica” ideale è una lastra piatta, con un angolo di incidenza minimo rispetto ad una superficie liquida idealmente calma. In queste condizioni si sviluppa il minimo attrito e la massima portanza. Altrettanto intuitivo è il principio secondo il quale, maggiore è la velocità con cui spingo la mia carena ideale, e maggiore diventa la resistenza che oppone il fluido che questa attraversa.
Nella realtà ovviamente è stato cercato da sempre un compromesso tra sezioni di carena, logicamente diverse da quella piatta, acque “agitate”, e potenze di spinta. Le sezioni si sono avvicinate sempre più ai profili a “V” con angoli di deadrise degradanti verso poppa, e lo sviluppo delle carene, all’aumentare delle velocità in gioco, ha visto comparire spigoli e gradini, necessari a convogliare il fluido in cui ci si sposta, e a contenerne la resistenza.
I progettisti che hanno saputo creare forme adatte a “deviare” opportunamente l’acqua dal proprio mezzo (gestione degli spruzzi), e a far si che questa abbandonasse la carena componendo il minore attrito ( oltre a controllare l’innesco di fenomeni come il beccheggio o il rollio ), hanno visto, a parità di potenze utilizzate, i propri scafi prevalere in ogni competizione.
Una delle intuizioni meno scontate in fluidodinamica applicata alle carene, è che uno, o più gradini, disposti trasversalmente al senso di marcia, potessero avere effetti positivi sia sulla stabilità, che sulla velocità ed i consumi. Effettivamente questo non è sempre vero: non vale per i regimi dislocanti, e per certe tipologie di imbarcazioni, e non è nemmeno sempre vero per la stessa imbarcazione planante che ospita il gradino. Tuttavia in certe condizioni di utilizzo, il “redan” innesca un processo virtuoso.
Al progredire della velocità, dietro lo scalino si forma una depressione del tutto analoga a quella che si forma normalmente dietro lo specchio di poppa. Ma siamo sott’acqua, e se questa depressione non fosse in qualche modo equilibrata si riproporrebbe un fenomeno analogo a quello che teneva incollate al suolo le vecchie Formula 1 ai tempi delle “minigonne”, con effetti sicuramente negativi per la velocità. In ogni caso la superficie bagnata diminuisce un po’, e si “ridisegna”, frammentandosi in più aree bagnate. Come stretta conseguenza si riposiziona anche il centro di spinta al galleggiamento, con effetti positivi sia sulla stabilità longitudinale ( assetto più orizzontale ), che su quella laterale ( vedremo come ).
Bisogna però equilibrare la depressione. Alcuni hanno cercato una soluzione installando tubi (prese d’aria) che portassero direttamente aria a pressione atmosferica al centro del redan ( vedi Beneteau con la serie AirStep ). Altri, come Ranieri International, hanno trovato una soluzione nel disegno stesso del redan, che si apre dal fondo su entrambe le murate, e questo abbastanza da scongiurare la possibilità che l’apporto di aria aspirata possa venire a mancare.
Le infinite possibilità offerte da internet hanno recentemente reso possibile la visione del fenomeno ripreso direttamente da telecamere subacquee. Fermo restando che la visione di un filmato non può sostituire la raccolta di dati attraverso sensori opportunamente disposti sulla carena, sembrerebbe evidente come su carene per il diporto veloce, e con un redan “simile” a quello utilizzato da Ranieri per i suoi scafi, accada quanto segue.
L’area di contatto dell’acqua con la carena, che è bagnata in modo continuo in regime dislocante, appena vicini alla velocità di planata ( e poi oltre ) si ridistribuisce, in termini di superficie “bagnata”, tra un’area triangolare a prua, e due aree laterali a poppavia del redan. La porzione centrale della carena (sempre a poppavia del redan) è invece attraversata dalla miscela aria/acqua che si forma areando il gradino. Vista la diversa viscosità, la resistenza in questa porzione dovrebbe diminuire parecchio, con un incremento relativo in termini di velocità, e un coerente abbassamento dei consumi. Della migliore stabilità longitudinale si era già detto. I due “appoggi laterali” che si vengono a creare, fanno pensare che anche il rollio si inneschi con minore facilità, e che la barca risulti, a regime, molto stabile.
E’ chiaro come tutti i discorsi appena fatti vadano rapportati alle condizioni medie di utilizzo di quell’imbarcazione, anche perché questo è un “sistema” piuttosto sensibile rispetto alla distribuzione dei pesi a bordo. Il cliente “tipo” delle imbarcazioni di Ranieri cerca una barca comoda, ben realizzata, sulla quale vivere i propri momenti liberi, assaporando contestualmente il piacere di spostamenti veloci.
In questa prospettiva Ranieri International è talmente convinta della bontà del proprio progetto, da aver esteso il suo profilo di scalino a tutte le proprie imbarcazioni (gommoni esclusi). Affrontando in virtù di questa convinzione le difficoltà, e i maggiori costi, di una costruzione più complessa (si pensi ai rinforzi necessari nella zona del gradino), anche per i modelli più piccoli.