E’ sempre più ampia nel mondo della vela la frattura tra “cruising” e “racing”, cioè tra le imbarcazioni predisposte per andare a “passeggio”, cioè in crociera, e quelle invece studiate apposta per correre e tentar di vincere qualche regata.
Sento già levarsi il coro degli armatori che mi contestano e oppongono concrete testimonianze per confutare questa mia opinione e, a tale proposito, in crociera o nei saloni nautici ho visitato, ammirato stupendi yacht di nuova generazione che corrono tanto e che sinceramente offrono un indiscutibile comfort anche sottocoperta.
So bene che non esistono più, o meglio, stanno scomparendo gli scafi nati “pieni” e poi “svuotati” per regatare più leggeri. Al loro posto i cantieri sfornano missili affascinanti che sono già spartanamente arredati e destinati solamente alle competizioni.
La mia iniziale netta separazione sottintende invece tutto quanto bisogna fare se si vuole allestire e poi armare una barca da regata che, con esplicite velleità corsaiole, deve essere in grado di mettersi in mostra per più stagioni di seguito.
Si apre così l’oneroso capitolo delle vele che sfocia in un ventaglio di soluzioni tecnologiche che, volendo tener botta e mantenere aggiornata la propulsione della propria barca, diventa un impegno economico di notevole rilevanza.
Dopo il kevlar, lo spectra e il vectran stanno arrivando altre fibre sempre più sofisticate per risolvere l’eterna equazione dei velai: il rapporto tra il peso e la rigidità del tessuto. Chi può permettersi di cambiare tutte le vele ogni anno? A mio avviso solo chi regata per professione.
Non voglio far qui l’apologia gratuita dei “half and half”, come i britannici chiamano ironicamente questi compromessi tra la vela e il motore, ma testimoniare una mia sensazione che la loro diffusione abbia ceduto il passo ai catamarani.
Il popolo nautico, seppur lentamente e crisi permettendo, lievita di numero e conseguentemente cresce anche la soglia d’età dei naviganti che, arzilli settantenni, spesso in coppie solitarie, incrociano sulle rotte di tutto il Mediterraneo.
Si sono venute a creare delle fasce di utenza molto più caratterizzate di quanto non lo fossero una decina d’anni fa: ci sono i mostri da regata, esemplari unici, che sono destinati ad acrobatici giovanotti che praticano professionalmente questo sport; poi c’è l’universo dei cantieri costruttori di barche a vela che stanno producendo imbarcazioni di serie, tendenti a essere sempre più veloci, e che diventano competitive fra di loro solo dopo che l’armatore si è accollato l’ulteriore onere di aggiornarne costantemente l’armamento da regata.
protetto, con gli opportuni rinvii di tutte le manovre, può comodamente ridurre la “tela” e affrontare in sicurezza o quasi qualsiasi situazione di vento.
Tutti gli altri velisti sono paghi delle piccole performances che ottengono con un’elica abbattibile od orientabile, un taglio di vela particolarmente curato o, una tantum, l’uso di un tessuto più grintoso, almeno per confezionare il genoa.
Soprattutto i popoli d’Oltralpe hanno fatto scuola in questo campo e da loro alcuni “meno giovani” hanno copiato l’andar per mare più comodi e tranquilli.
Ecco che anche chi ha iniziato imberbe a solcare il mare arriva a un certo punto in cui, senza dover rinunciare al familiare elemento, desidera stare seduto all’asciutto, dominare il proprio mezzo senza grossi impegni muscolari per mantenere un tranquillo assetto della barca e per non dover mai rovesciare … il bicchiere e tanto meno la bottiglia.
Buon vento.
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