Dopo gli affollati saloni di Cannes e di Genova mi è rimasto un dubbio. Chi lo sa se quella distinta signora, con accento romano, con cinque giri di perle di fiume intorno al collo e con il Chewawa che sbucava dalla borsa fatta a secchiello, s’era poi fatta la barca?
Eppure, lì nel salone nautico, lei aveva platealmente intimato a tutti gli altri visitatori di scostarsi dall’inquadratura della foto che la solerte amica stava scattando con il cellulare nella dinette di un catamarano di 53 piedi fuori tutto.
Poi, come segno di riconoscenza per la sua gentile accompagnatrice, lei si era concessa per un selfie di coppia, ma leggermente scostata dall’amica nel ruolo di semplice comparsa.
Sembrava la celebrazione di un rito che poteva consacrare il film cult degli anni ottanta in cui Johnny Dorelli proclamava “Quasi quasi mi faccio la barca”.
Ora che l’ultimo sole ricorda l’estate appena finita, penso alle migliaia di sognatori che visitano i mitici saloni di Cannes e di Genova e fra essi immagino chi siano stati coloro che sono riusciti a concretizzare il proprio desiderio.
Pochi o tanti non lo posso sapere, certamente non sono i tanti visitatori “mordi e fuggi“ che, raramente armati di una macchina fotografica, ma tutti comunque in possesso di un “telefonino intelligente”, riescono ad organizzare il possesso virtuale, e fortunatamente temporaneo, della barca.
I più intraprendenti creano situazioni al limite dell’imbarazzo.
Belle ragazze hanno una gran fretta d’intrufolarsi nella cabina armatoriale per balzare sulla cuccetta matrimoniale rotonda e inventare la posa più adatta al tempestivo clic di chi le accompagna.
All’attenta “reception“ dello stand, dove si deve prendere l’appuntamento per una visita senza l’ammucchiata, nessuno può immaginare le reali intenzioni di una coppia che insiste prepotentemente per visitare subito il lussuosissimo yacht di diciotto metri.
Una volta il “chief boat“ (ndr. l’addetto o l’addetta che vigila sui visitatori che salgono a bordo) era stato costretto a invitare un fantasioso visitatore ad allontanarsi dalla cabina poiché, dopo aver predisposto l’autoscatto, si accingeva a immortalarsi con la sua compagna mentre assaggiavano i chicchi d’uva (finti) posati sul vassoio del comò in radica.
Ho saputo che qualcun altro non aveva voluto perdere l’occasione di farsi ritrarre sull’ultimo ponte a ridosso del fly bridge del super-maxi-yacht dotato di una piscina con l’ idromassaggio.
Con l’accortezza di fare un’inquadratura molto stretta, in una giornata di pieno sole, si possono creare delle piacevoli foto-inganno che si potrà tranquillamente far credere siano state fatte ad Antigua, a Kos o a Porto Rotondo.
Non sarò così ingenuo da dichiarare agli amici, che ben mi conoscono, che la barca è mia; mi accontenterò di stuzzicarli con il racconto di un’occasione che mi è capitata per dividere questo lusso con alcuni carissimi conoscenti oppure, esagerando, dirò che ciò è avvenuto durante il noleggio per una vacanza un po’ diversa dal solito.
I maligni mormorano che nascono album virtuali di viaggi mai fatti, in posti mai visti, con compagni sconosciuti su yacht intensamente desiderati e ovviamente impossibili.
Un operatore si consola dicendo che: “se anche fossero in molti a frequentare gli stand, in coppia o da soli, a scattare foto a più non posso, non credo che ciò possa nuocere alla nautica, se poi, quegli stessi sognatori con i piedi ben saldi a terra, si accontenteranno di una deriva, di un gommone o di un piccolo open con il fuoribordo. Qualcuno crescerà e forse aumenteranno gli appassionati del mare“.
E la signora con il Chewawa dov’è finita? Dicono di averla vista tra gli stand dell’abbigliamento a confermare la regola che per uno solo che naviga in barca ci sono almeno altri 150 che si vestono “da” barca.
Comunque auguro a tutti buon vento.