Essere o non essere skipper

“Skipper” è un sostantivo inglese che deriva dal medio olandese “schipper” che quasi universalmente indica il “capitano” o il “comandante” di una nave mercantile. In italiano resta “skipper” sia al maschile sia al femminile con il medesimo significato, mentre i francesi preferiscono tradurlo con “chef de bord”.
Per i più precisini vi dirò anche che, per gli stessi inglesi, lo “skipper” è sì il capitano di una nave mercantile, ma di dimensioni ridotte, anche se poi lo stesso termine, nel Regno Unito, sta ad indicare anche il capitano di una squadra di cricket o di curling.

Sono riuscito a trovare alcune curiosità: “skipper” assume tanti altri e diversi significati poiché vuol dire anche “saltatore” derivando dal verbo “to skip”, per cui lo si usa per il “saltare la corda”, ma è qui che sta il ridicolo, “to skip school” noi lo traduciamo in italiano con “marinare la scuola” e da queste parti, più gergalmente si semplifica dicendo “andare in marina”. Infatti nei giardini pubblici in primavera o nei retrobar nelle mattine d’inverno si incontrano tantissimi “skippers“ che appunto “marinano“.
Un’ultima annotazione linguistica, sempre di tipo gergale in uso nella lingua inglese è l’espressione: “skipper’s daughters” che letteralmente verrebbe tradotto con “figlie dello skipper”, ma invece è una forma idiomatica che rappresenta un’immagine descritta in ogni parte del mondo in un modo diverso. Stiamo parlando di quelle onde altissime con la cresta bianca, da noi dette “cavalloni“ che quando sono in una dimensione più ridotta chiamiamo “ochette“.

Malingri nel suo libro, in cui racconta la partecipazione alla prima regata intorno al mondo, a un certo punto tratteggia i personaggi che caratterizzano la vita a bordo di una barca, esprimendo concetti universali e cioè validi sia per la regata sia anche per la crociera. Egli scrive infatti che “in un gruppo ristretto, che vive assieme, si definiscono prima o poi la figura del leader e quella della vittima….” e più avanti precisa “… la figura del leader non era dubbia: io ero lo skipper e per vari motivi tutti mi riconoscevano come tale senza problemi”.

L’essenza di tutti i discorsi riguardanti lo skipper si concentra in quell’imprecisato “e per vari motivi” scritto da Malingri: un concetto che molti si sono sforzati di spiegare, fino al punto di voler comporre un codice comportamentale per esercitare la professione di skipper.
Mi viene in mente che, molti anni fa, Fabio Colivicchi, direttore ed editore di Saily, fondatore di Fare Vela, giornalista Rai e tanto altro ancora nel settore della vela, aveva condotto un’inchiesta sulla professione dello skipper e aveva intervistato alcuni personaggi di spicco pubblicandone le impressioni sul mensile Bolina.

Emergeva chiaramente ciò che tutti i naviganti dovrebbero sapere e metabolizzare se vogliono avere un ruolo di spicco a bordo. Lo skipper deve essere il leader naturale del gruppo, lo skipper deve essere un tecnico, deve saper trattare le vele, l’elettronica, il motore e tutta l’attrezzatura; lo skipper deve essere paziente e socievole, lo skipper deve sapersi imporre e comandare, lo skipper deve conoscere le rotte che percorre, deve soprattutto prevenire ogni pericolo, deve amare e temere il mare per trasmettere le stesse emozioni all’equipaggio, lo skipper deve anche essere capace di far divertire i propri ospiti. Lo skipper, con tutti questi “deve, deve, deve“ si guadagna con molta fatica il meritato compenso quando viene assunto per una crociera o per un trasferimento, magari fuori stagione.

Eppure non vi sembri strano se oso affermare che sono sempre più numerosi coloro che si autoeleggono skippers: questi se-dicenti-skippers non sono dei professionisti ma rivestono la doppia qualifica di “capitano-armatore”: cioè hanno una patente nautica e sono i proprietari dell’imbarcazione. L’investitura avviene semplicemente ornando il capo con un regolare berretto marinaro, con o senza “insegna”, e si limitano a condurre la propria famiglia o una ristretta cerchia di amici a passeggio sul mare con ogni tipo di propulsione.

Ebbene anche per questa immensa schiera di comandanti-armatori-skippers le regole non cambiano e ciascuno di loro avrà le medesime responsabilità che tutti gli skippers professionisti o dilettanti hanno quando si trovano a comandare un’imbarcazione.
Ogni skipper, a mio avviso, dovrà avere la capacità di anticipare sempre gli eventi per infondere sicurezza e tranquillità a tutta la ciurma: dovrà allertare tutti e annunciare “preparate le cerate” , con molto anticipo, appena avrà percepito che possa esserci il pericolo di un scroscio di pioggia; e quando gli verrà in mente di ridurre la vela non indugerà un solo attimo per non farsi mai sorprendere dall’ansia creata dalla necessità incalzante poiché, per tutte le evenienze, lo skipper saggio preferirà prevenire piuttosto che provvedere.
Ma se effettivamente è così, “skipper” può esserlo chiunque svolga, con professionalità, il proprio lavoro e appunto per questo suo impegno si sia meritato la leadership da tutti gli altri.

Ben venga quindi non solo lo skipper di barca ma anche … di banca, di qualsiasi ufficio privato e soprattutto pubblico per il bene comune di noi che siamo tutti … sulla stessa barca.

Buon vento.

Redazione

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