Quando il molo diventa un salotto. Skippers e l’arte di andar per mare

Che soddisfazione,! Dopo anni che predico ai terrazzani l’amore per il mare e per le barche, ho incontrato un mio lettore, che vi giuro non mi è parente e nemmeno affine, il quale aveva, niente meno che, e conservato un mio pezzo!

Questo inaspettato “ fan” me lo aveva presentato un mio vicino d’ormeggio e lo aveva apertamente definito uno svitato, un esaltato, uno spaccone e tant’altro ancora, finché aveva concluso dicendomi: “perdonalo mi sembra che deve aver fatto anche l’ istruttore dei Glènans“.

Ero stato invitato a nozze, tant’è che poi Alfredo (questo è il suo nome) e io siamo partiti per la tangente a rievocare, come vecchi reduci: io l’esperienza veneziana della base italiana dei Glénans sull’isola di San Clemente e lui l’aspra Bretagna.

Oggi che i duri e puri fanno i fighetti allo Yacht Club Italiano ci inducono a nostalgiche rimembranze.

Un po’ parlando e anche un po’ sparlando, sono via via emersi molti spunti che mi hanno fatto riflettere sulla differenza sostanziale che esiste tra una scuola “di vela” e una scuola “di mare”, sulle attenzioni da prestare alla sicurezza a bordo e infine sulla moda che riesce a condizionare anche il “consumo” del mare e del vento.

Hai ragione Alfredo, quando dici che ci sono intorno a noi decine di skippers, o di se-dicenti tali, che partecipano a tutte le regate con barche e con vele di grande prestigio e solo pochi fra questi o nessuno, come tu sostieni, saprebbero che cosa fare di un remo per potersi muovere con la voga a “sbratto”.

E’ importante? Sì, perché nelle scuole “di mare” è fondamentale che ciascuno si sappia muovere sull’acqua in qualsiasi condizione, anche senza il motore e nella completa carenza di un alito di vento. Da quella stessa scuola viene insegnato a consultare le tavole di marea per intuire lo scarroccio. Ahimè ( per fortuna !) non c’è più il rito di ascoltare ogni mattino la radio che trasmette il primo bollettino del mare. Allora bisognava essere già lì pronti, con la penna e un quaderno, per annotare le previsioni relative alla propria zona di competenza e successivamente gli appunti venivano confrontati e aggiornati attraverso gli altri messaggi emessi durante la giornata. Le infinite “app“ oggi ci risolvono tutti i problemi: maree, venti, meteo ecc.ecc.

Alfredo pesta duro sui se-dicenti skippers , pesta sulle scuole di vela italiane in generale e pesta anche sull’assurda normativa del nostro Paese, che prescrive meticolosamente quali siano le buone e quali invece le cattive attrezzature.

Non so dare torto ad Alfredo quando afferma che, per sei persone imbarcate ci dovrebbero essere sempre in dotazione dodici salvagente: sei conformi alla normativa, per superare gli eventuali controlli e avere il bollino blu, e altri sei da dover usare nella malaugurata ipotesi che ci fosse una reale emergenza.

Il giubbotto di salvataggio, privo di una idonea imbragatura, non ingombrante, che potrebbe scivolare o sfilarsi dal corpo del naufrago è un palliativo”precisa Alfredo e aggiunge che “se tutti i salvagente fossero anche dotati di un robusto anello, posto sotto il colletto, ciò renderebbe più agevoli le manovre per il recupero a bordo del poveretto che si trova in acqua.”

La competenza in mare non si acquisisce con una abilitazione e ci sono Paesi, con tradizioni marinare più illustri delle nostre, dove non è affatto necessaria una patente per condurre una barca. Le conoscenze teoriche, che derivano da una meticolosa lettura di un manuale e la simulazione di una navigazione, effettuata nelle acque protette di un porto, non possono legittimare il comando di uno scafo anche se da diporto.

Per Alfredo, solo la Bretagna è la palestra ideale per apprendere l’arte d’andare per mare perché ricorda, non senza una punta di nostalgia, che “prevedere correnti e maree per poter mollare gli ormeggi e saper attendere le condizioni migliori per percorrere la rotta prestabilita sono capacità nautiche che è difficile ricostruire nei nostri mari“. Effettivamente ammetto che sulle coste dell’Oceano l’impegno è maggiore, ma, per pudore delle mie limitate rotte, sostengo che non bisogna comunque omettere certe nozioni dal programma d’insegnamento. Anche un allievo nostrano deve tener conto di questi fenomeni che, sebbene in misura molto ma molto meno evidente, influenzano la navigazione costiera e soprattutto l’entrata e l’uscita dai porti delle lagune.

Il molo, dove evochiamo queste teorie, s’è ormai fatto salotto e qualcuno scompare sotto coperta per poi riemergere con una strana bottiglia di “limoncello” ( residuo dell’ultima crociera estiva) . Alfredo, e non solo, gradisce e i discorsi riprendono con più forza e vigore. E’ la volta di Caprera, la copia italiana della scuola bretone, che, aldilà da qualsiasi valutazione di merito, ha il pregio di una location fantastica con il disagio di più mezzi da utilizzare per raggiungerla.

C’erano state varie ipotesi di creare basi-succursali del Centro velico di Caprera sul continente, anche in Adriatico, ad esempio nel Golfo di Panzano, cioè vicino a Monfalcone e a pochi passi dall’aeroporto di Ronchi dei Legionari, che avrebbe certamente catalizzato l’attenzione di tutto il nord e il centro dell’Italia.

L’idea era ed è ancora ottima, anche se debbo confessare che nel lontano1987 quando i mitici Glènans stavano per scomparire dall’Italia e dei loro adepti erano in procinto di trasferirsi a Torre Guaceto in Puglia (dove l’anno dopo fondarono il centro Nautico di Levante) osai proporre di ospitare a Lignano una base della scuola di mare dei nostri amici bretoni e la rilanciai alcuni anni più tardi anche a Grado .

Sfumarono tutte le idee e fu anche vano l’incontro e il sopralluogo effettuato dal responsabile per l’Italia dei Glénans venuto apposta da Torino.

Lo dico sempre e lo ripeto qui che solo due regioni italiane , entrambe in Adriatico ( Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia ) vantano circa il 40% di vele contro il 60% di motori, mentre nel resto della Penisola la media spalmata su tutte le regioni si assesta a 20 contro 80, semmai con delle punte maggiori per il motore nel sud d’ Italia.

Alfredo non molla e, incoraggiato da altri interessati (ndr. alla nautica o al limoncello ?) è ormai un fiume in piena : ipotizza basi in Puglia, in Sicilia e una con particolare enfasi verso Talamone e ….non ricordo più ancora dove .

Se fosse riuscito a lui di aprire a Monfalcone o a me a Grado sai quanti altri “svitati “ si sarebbero prodotti ? Infatti c’è un adagio che recita “ Quando è alta la passione è bassa la ragione”.

Buon vento.

Gennaro Coretti

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