Termini nautici: storia ed inflessioni dialettali
Bisogna infatti considerare che la “forza” della marina austro-ungarica era costituita da ufficiali e marinai prevalentemente originari della costa adriatica che, nella lunga dominazione veneta, provenivano da tutte le terre un tempo occupate dalla Serenissima e cioé partendo dalle lagune venete fino ad arrivare ai confini estremi della Dalmazia.
Nel 1833 la direzione del periodico austriaco “Mittheilungen aus dem Gebiete des Seewesens” aveva pubblicoato a Pola il primo volume, compilato dal Dabovich, del grande e importantissimo “Dizionario tecnico nautico” delle lingue italiana, tedesca, francese e inglese, che, ci riferisce Giacomo Furlan, aveva ricevuto anche il plauso della “Rivista Marittima” di Roma .
Dall’insieme di queste fonti, ufficiali e letterarie, e con l’aiuto della tradizione orale di alcuni marittimi, nasce la “Raccolta di Voci Marinaresche del Dialetto delle Nostre Provincie” che é il titolo ufficiale dell’opera curata appunto da Giacomo Furlan e che oggi ci sorprende per l’astrusa lontananza dei suoi termini rispetto a quelli usati oggi dalla gente di mare.
Gli attuali dizionari dei termini nautici, che non sono pochi, sono ricchissimi di neologismi stranieri e prevalentemente di provenienza anglosassone, ma vi posso dimostrare che le peregrinazioni dei naviganti, già allora, cioé all’inizio di questo secolo, traevano spunto da altre lingue, però li dialettivizzavano e rendevano, quanto meno nel suono, più familiari i termini nautici.
Che l’affondatoio per le ancore si dicesse “sliper” é chiaramente un termine translato dall’inglese slipper e dal verbo to slip che appunto vuol dire scivolare. Così pure il casseretto: il piccolo ponte che nelle navi stava a poppa più elevato del cassero, nel dialetto delle vecchie province era chiamato pup, chiaramente derivato all’inglese poop.
Da un neologismo tolto dal francese paquebot, che a sua volta é stato preso dall’inglese pack o packet (pacco o valigia) e boat (barca) deriva “el pacheto”, che significava un piccolo battello adibito a svolgere un servizio regolare tra porto e porto. Il vaporetto postale che, lungo le coste dell’Istria, faceva scalo a Umago, a Cittanova, a Parenzo e giù giù fino a Pola era perciò un “pacheto”. Senza voler offendere nessuno potremmo azzardarci a chiamare pacheto anche il velocissimo e modernissimo catamarano che oggi collega le isole minori d’Italia o le varie navette della Grecia e della Dalmazia.
Scorrendo i lemmi elencati dal Furlan e poi le note aggiunte dallo storico e filologo Gianni Pinguentini ci s’imbatte in curiosità inaspettate in quanto a termini nautici. Il gancio a scocco, il nostro comune moschettone, era detto “papagal”, le sartie del bompresso erano chiamati “mustaci”, il martinetto a vite o il tamburo del salpancora facevano riferimento a una robusta scimmia, sinonimo figurato di uomo brutto e scemo, e perciò veniva chiamato il “macaco”.
Nell’architettura costruttiva dello scafo, tra corbe e garbi, tra il madier e il palotar, alla fine estrema dell’ossatura della barca c’era anche la “putana”: poiché così era chiamata l’ultimissima corba o costola di poppavia, con un evidente riferimento – spiega il Pinguentini – all’ultimissimo posto occupato dalla prostituta nella scala sociale.
Termini nautici duri, talvolta grossolani che però abbastanza spesso i marinai temperavano con improvvise devozioni, quando, soli lì in mezzo al mare, affrontavano momenti difficili durante la navigazione e perciò, all’ordine “tira mola gabia” (vira di bordo !) tutto l’equipaggio rispondeva al comando con l’invocazione: San Luca e San Matio.
E oggi? Fa fino se alcuni skipper, quando ordinano la virata, gridano: Lee-o !
Buon vento.
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Bellissimo articolo. Grazie ! Una curiosità : il termine colomba usato per la falsa chiglia di zavorra, finn keel da dove deriva ? È una transliterazione ? Ma da che termine ? Buon vento S.A.
Per nostro tramite risponde l'autore dell'articolo:
Caro Sergio,
Il termine "colomba" in Alto Adriatico indica genericamente la chiglia e deriva dal latino " columna" e prende l'immagine dallo scheletro umano, riferendosi alla colonna vertebrale . L'etimologia è confermata pure dalla locuzione triestina e veneta " scavezà in colomba" riferentesi a persona sbilenca, dinoccolata. Nel dizionario di Gianni Pinguentini si trova il termine già registrato fin dal 1431 nel dialetto veneziano e in manoscritti latini " columba" nel secolo XIII.
Alla prossima .
Gennaro
Go capi' perche' i me ciama "scaveza' in colomba" !
R.
Bellissima iniziativa che tutti gli appassionati del mare sicuramente condividono, me compreso! Una domanda ma il "Dizionario marinaresco" di p. ALBERTO GUGLIELMOTTI, da Civitavecchia, biografo della Marina Ponteificia, lo vogliamo considerare?
Molto coinvolgente e interessante. Sul tema, mi si perdoni, approfitto per promozionare il mio libro venduto al momento solo ed esclusivamente su Ebook Kindle Amazon intitolato "Parole al Giardinetto". 110 aforismi nautici unici, originali, ed esclusivamente coinvolgenti dove leggendo ogni "versetto" devi tornare a capo per afferrarne il senso ma poi, se per te il mare non è solo acqua ma una pennellata di vita, riderai da solo dopo averne afferrato il senso.... saluti a Gennaro e a tutti gli amici velisti e non.
Bellissimo articolo...mi avete messo la curiosità di acquistare tutti i libri citati...buon vento...speriamo visti i tempi. Stefaniadedavid Belluno
Bravissimo Coretti molti termini noi triestini li usiamo ancora correntemente ma stanno andando in disuso.Eccellente lavoro, complimenti